La Capitana e le iene
Noi usiamo solo una piccola percentuale del nostro cervello, però approfittiamo un po’ troppo di questo ozio fisiologico. Ormai ragioniamo per simboli dietro i quali cerchiamo di ammassare le idee più disparate.
La capitana della Sea Watch decide di forzare il blocco imposto da Salvini per salvare la vita a 40 disperati, non ha altre alternative, ma noi cosa facciamo? Invece di pensare alle condizioni di quella gente soccorsa in mare facciamo diventare la coscienziosa ragazza Geena Davis in Corsari, una diva suo malgrado, perché forse ha cose più serie da fare. Penso ovviamente all’equipaggio di quella nave che considera noi a terra dei tossicodipendenti da soap opera di quart’ordine mentre non sanno come gestire una “reale emergenza”.
Intanto sulla terra ferma (si fa per dire …) i cattivi lanciano strali di inutilità su questi poveracci solo per motivi strumentali, visto che nel giro di un mese sono sbarcati 1116 migranti indisturbati mentre adesso si è scatenato il putiferio per 40 persone, e vediamo un frenetico susseguirsi di trasmissioni su trasmissioni, di speciali televisivi sull’argomento con ospiti illustri che sicuramente non verranno pagati in noccioline. L’ospitata è retribuita, la trasmissione costa: e paghi il presentatore, il cameraman, gli inviati speciali sul posto, la claque in studio che applaude a comando. Oh quella è tutta gente che “pappa”, ed è abituata bene, così l’audience sale e nel frattempo delle vite disperate scorrono nella nostra più completa e assuefatta indifferenza. Altrimenti come può lo spettacolo continuare?
Tutto si riduce a “rappresentazione”, tragica quanto basta, mica vediamo i morti? Non c’è bisogno neanche della fascia protetta. E’ una pacchia!
A seconda delle convinzioni ci si indigna o ci si inalbera vestiti da nazionalisti del ciufolo, ma guardiamo solo in modo apparente la stessa storia che “per forza di dose” non potrà mai corrispondere alla realtà. Avete presenti quei pazzi che della ciambella gradiscono il buco? Siamo noi.
Anche i social non si sottraggono alla finzione a spese della realtà: ipercompensano – a seconda dei casi – con la santificazione della ragazza capitano, che sta spodestando Greta Thumberg dalla prima posizione in classifica, o con le invettive nazional populiste targate Meloni: “imprigionate tutti, affondate la nave, requisite tutto il rum e via … ai lavori forzati nelle coltivazioni di zucchine di mare nella Guyana francese.” Mi piacerebbe dire che è il caldo a rincoglionirla a tal punto da credere di essere il Kraken liberato ne i Pirati dei Caraibi, ma ha mostrato costanti segni di squilibrio anche a temperature più accettabili, nonostante le evidenti somiglianze con il mitologico mostro marino. La tiroide fa brutti scherzi! O quella o la bleferatomia, non si scappa!
Così andiamo avanti per simboli, costruiamo personaggi buoni o cattivi che fanno da additivi artificiali delle nostre percezioni dei fatti, fatti che nel loro “effettivo accadere” non solo non conosciamo davvero ma che non ci interessa conoscere.
Siamo onesti ogni tanto, preferiamo leggere sillaba per sillaba come rispettare la dieta dell’anguria piuttosto che informarci su come funziona e perché c’è un massiccio flusso migratorio dall’Africa, e – nonostante veniamo mediaticamente martellati e infastiditi dal fenomeno – la cosa non riguarda ancora il nostro quotidiano, a dirla tutta per adesso le nostre vite scorrono comunque, anche se corrose di continuo dal tarlo dell’imminente catastrofe.
Ma la percezione è tutto – specie in un modo che accantona la riflessione per l’effetto, in una società dove il narcisismo la fa da padrone e l’apparenza ci inganna allattandoci a forza dal suo arido seno di plastica, non è l’obiettività che muove il pensiero bensì tutto ciò che turba o può turbare il benessere raggiunto, reale o percepito che sia; ed è a questo punto che uno stato d’ansia ci invade, percepiamo come prossima e assoluta una minaccia propagandata ad arte, e questo basta ai mostri che davvero ci marciano su. Peggio di perdere il nostro posto al sole c’è solo il tellurico e costante timore di poterlo perdere.
Qui può venirci in soccorso l’allegoria. Non siamo diversi dai disperati in mare, siamo comunque gettati in un oceano di propaganda dal retrogusto apocalittico che tende i nostri nervi sino a convincerci che il nostro incerto benessere può esser salvaguardato solo lasciando crepare in mare pochi disperati, e la convinzione – in mancanza di leoni a guardia dei nostri interessi – che delle vere e proprie iene possano ergersi a baluardo delle nostre assediate porte. Però è altamente improbabile che delle iene si facciano arrestare solo per farci approdare in un posto sicuro.
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