Uno dei filoni musicali che hanno, spesso, influenzato la tradizione musicale e la cultura in Italia è, senza dubbio, la canzone di protesta (o canzone politica). Dai canti della Resistenza ai giorni nostri, questo genere non ha mai smesso di evolversi ed essere specchio dei mutamenti sociali.
Nella tradizione musicale è indicato, con “canzone di protesta”, quel filone ispirato a movimenti di protesta e lotta per il cambiamento politico e sociale. Si parla di lotte per i diritti civili, movimenti pacifisti, proteste operaie e studentesche, rivoluzione sessuale, controcultura, ambientalismo e femminismo. Si tratta di canzoni di denuncia o di rivendicazione, legate alla collettività e che, dunque, hanno come scopo l’esaltazione del messaggio veicolato, più che l’esposizione di chi le canta.
Canzone “impegnata”
È la cosiddetta canzone impegnata che, tanto, ha stravolto la storia musicale contemporanea, cambiando anche il posto della musica nella cultura e nella società. Da mero intrattenimento a mezzo per l’impegno e la partecipazione sociale, la musica ha raggiunto, come forma d’arte, un valore che nei secoli precedenti non aveva. Dalle due grandi guerre ai giorni nostri, la canzone di protesta ha assunto molte forme, accompagnato avvenimenti storici e sposato cause importanti. E suoi interpreti, spesso, sono stati in prima linea nell’attivismo e nell’impegno civile. Il primo cui, notoriamente, si pensa, parlando di canzone di protesta, è, ovviamente, Bob Dylan. La sua Blowin’n the Wind, celebre inno pacifista, è diventata, negli anni sessanta, il manifesto di una generazione.
I canti della Resistenza come canzone di protesta
Nella storia della musica italiana, in particolare, la canzone di protesta occupa un posto di rilievo. Partendo dai canti della resistenza e passando per il cantautorato, è arrivata a oggi e gode, ancora, di ottima salute, seppure sotto spoglie un po’ diverse dall’inizio.
I canti della Resistenza sono i canti della lotta partigiana per la libertà dal dominio nazifascista nel periodo della seconda guerra mondiale. Sono canzoni che, nell’immaginario comune, anche oggi, ricordano la voglia di libertà e la lotta per ottenerla, tanto da esserne diventati bandiere. In realtà, molti prendono spunto o sono la riproposizione di altri canti nati nel contesto della Grande Guerra, per motivi simili. È con la resistenza e la successiva liberazione, tuttavia, che la musica assume un ruolo particolare nella protesta e nella lotta, cambiando la sua sorte e influenzando, come non mai, il futuro della cultura musicale.
Bella ciao
Una fra tutte queste canzoni, in particolare, è diventata il simbolo per eccellenza della lotta e un brano iconico legato al valore della libertà e della disobbedienza. Lo è ancora oggi e non solo in Italia. Parliamo ovviamente di “Bella Ciao”. Circa la sua origine e diffusione ci sono molte incertezze. Sembra, addirittura, che non si conoscesse in ambiente partigiano ma che fosse diventata popolare molti anni dopo la Resistenza. Eppure la rappresenta più di ogni altra. È, a quanto pare, il brano più ascoltato e cantato del mondo. È stato tradotto in tantissime lingue e usato in molti ambienti, incluso quello cinematografico. Ispira un senso di appartenenza e di comunità che pochi brani riescono a suscitare in un numero così alto di persone e di situazioni. Ed è, comunque, una canzone che divide ancora l’opinione pubblica, perché gli ambienti di Destra non la riconoscono, tuttora, come un inno di libertà e condivisione, ma come un canto che veicola valori di Sinistra.
L’esperienza dei Cantacronache
Proprio i canti della Resistenza ispirano, sul finire degli anni Cinquanta, il lavoro dei Cantacronache, che si contrappone alla “frivolezza” della musica leggera affermatasi con il ritorno alla vita del dopoguerra.
Cantacronache è, infatti, il nome di un gruppo di musicisti, letterati e poeti, nato a Torino nel 1957, con il fine di valorizzare la canzone italiana attraverso l’impegno sociale. Ne fanno parte musicisti come Sergio Liberovici, Fausto Amodei, Margot (Margherita Galante Garrone) e scrittori come Emilio Jona. Ma il gruppo collabora anche con nomi autorevoli e conosciuti della letteratura quali Franco Fortini, Italo Calvino e Umberto Eco.
La produzione dei Canacronache e il Nuovo Canzoniere Italiano
La produzione dei Cantacronache è vicina e ispirata agli esistenzialisti e agli chansonniers francesi ed è caratterizzata da una forte coscienza politica. Fra le canzoni politiche più famose del gruppo sono da ricordare Dove vola l’avvoltoio, La zolfara, Oltre il ponte e Per i morti di Reggio Emilia.
Dall’esperienza dei Cantacronache nasce, nel 1962, la rivista Nuovo Canzoniere Italiano che si trasformerà in un’associazione di riferimento, nell’Italia di quel periodo, tanto per la ricerca che per la composizione di canzoni popolari e impegnate. Da qui alla canzone d’autore il passo è breve.
Dai Cantacronache al cantautorato
Proprio il cantautorato sviluppa in pieno, in Italia, gli intenti del filone della canzone di protesta da cui siamo partiti. Complici i movimenti politici e sociali che sconvolgono e rivoluzionano il paese dal ’68 a oltre la metà degli anni Settanta, la musica e la canzone diventano sempre più testimoni della realtà circostante, ma anche strumenti per trasformarla. Si susseguono, da questo momento in poi, due generazioni di grandi cantautori. Della “prima generazione” sono quelli che fanno riferimento alla “scuola genovese” e alla “scuola milanese”. Della “seconda generazione” sono soprattutto gli appartenenti alla “scuola romana”.
I grandi nomi della canzone d’autore
Si vedono alternarsi, nei decenni chiave del cantautorato italiano, nomi quali Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Luigi Tenco, Umberto Bindi, Gino Paoli, Fabrizio De André, Francesco Guccini, Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Franco Battiato, Paolo Conte. Sono coloro che fanno grande, in quegli anni, la musica italiana e che lasciano, nella tradizione della canzone di protesta, un’eredità importante e conosciutissima, anche dalle generazioni più vicine a noi, per le quali continua a rappresentare il punto di riferimento principale.
Impossibile non citare, per esempio, La guerra di Piero di De André, altra canzone simbolo del pacifismo e dell’antimilitarismo.
La canzone di protesta dell’ultimo ventennio
Negli ultimi due decenni, tuttavia, si è assistito a un’inversione di tendenza. Nel senso che i temi e le suggestioni partiti dai Cantacronache e passati per i cantautori, sono tornati essere di nicchia.
I temi della lotta e della protesta che, per lungo tempo, sono stati dei cantautori dominanti il mercato discografico, oggi appartengono ad artisti con un’estrazione più settoriale e politicizzata, se non in rari casi. Sono artisti con un pubblico lontano dal mainstream ma con una maggiore coscienza politica. Gente da Concerto del Primo maggio e da Festa dell’Unità, per intenderci. Gente con un orientamento politico preciso. Chiaramente, gente di sinistra. Accanto ai cantautori recenti più celebri, si possono citare, in tal senso, artisti e gruppi come Modena City Ramblers, 99Posse, Bandabardò, The Zen Circus. Caparezza e, fra i più recenti, Lo Stato Sociale e tutta la scena Indie, che sta, però, riguadagnando posizione e consenso anche nel grande pubblico.
La musica Indie è il presente
Proprio quest’ultimo cambio di rotta è indicativo del momento storico che stiamo vivendo. Alla base delle cultura Indie (che sta per indipendente) ci sono motivazioni legate alla produzione e distribuzione della musica e, quindi, chiaramente, di natura politica e sociale. È da tenere d’occhio, dunque, la diffusione dell’Indie a cui si assiste nell’ultimissimo periodo per scoprire quanto la canzone di protesta sia ancora presente e viva, anche se in forme diverse.
Avendo un intento di cronaca, denuncia e lotta, la canzone politica o di protesta si adegua ai tempi. Essa è specchio della società e delle dinamiche politiche e culturali. Forse solo adesso che molto, si sta muovendo in questo senso e c’è aria di un’ennesima rivoluzione culturale, la canzone di protesta potrà riprendere vigore e aiutare il cambiamento.