Perché in Italia la cannabis dovrebbe essere legale

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Nonostante la proposta di declassificazione nella tabelle delle sostanze stupefacenti da parte della DEA e la regolamentazione dell’uso ricreativo in Germania, il dibattito sulla cannabis legale in Italia divide ancora l’opinione pubblica. Senza dubbio, le esperienze degli Stati in cui è stata attuata una legislazione a favore di una regolamentazione della sostanza mostrano che la scelta di gestire il mercato a livello statale è stata una mossa efficace. In Italia lo sarebbe ancora di più, dato che il business (miliardario) continua a gestirlo la criminalità organizzata.

Che cos’è la cannabis: un’antica storia della natura

In Italia la cannabis rappresenta un tema delicato, soprattutto a causa della disinformazione che aleggia intorno all’argomento. In questi casi, è necessario partire dal principio per comprendere. La cannabis, o canapa, è una pianta appartenente alla famiglia delle cannabinacee e si presta alla produzione di moltissimi prodotti come le fibre tessili, la carta e i carburanti vegetali, oltre a possedere proprietà depurative e terapeutiche. La cannabis è a tutti gli effetti un prodotto naturale e il principale elemento psicoattivo si chiama delta-9-tetraidrocannabinolo (thc).

La pianta della cannabis è molto diffusa e cresce nelle zone temperate e tropicali. Mediante i suoi derivati (i fiori essiccati, volgarmente chiamati marijuana e la resina, da cui si ricava l’hashish), la cannabis è una delle droghe più consumate al mondo, insieme a tabacco, alcol e caffeina. Ripercorrendo a grandi linee la storia della “controversa” pianta, si risale ad origini antichissime. Infatti, si stima che la cannabis venga utilizzata almeno da 10.000 anni e sono almeno 2.500 anni che gli umani se ne servono per gli effetti psicotropi.

Come espone uno studio del 2019 riportato sulla rivista Science Advanced, nel sito archeologico del cimitero Jirzankal (tra le montagne del Pamir, in Asia Centrale) sono stati ritrovati dieci bruciatori di incenso risalenti al V secolo a.C. e, attraverso l’utilizzo della spettrografia di massa, i ricercatori hanno analizzato i composti chimici presenti nell’incenso. In questo modo, il team scientifico ha scoperto la presenza di cannabis con alti livelli di thc e gli studiosi hanno presupposto che l’utilizzo della sostanza psicotropa fosse collegato agli usi religiosi e spirituali delle tribù native del territorio.

Nel corso della storia sono state tantissime le civiltà che si sono avvalse delle proprietà della cannabis (per citarne solo alcune Assiri, Greci, Romani, Impero Cinese, Repubbliche Marinare, nel 1776 la Dichiarazione d’Indipendenza e la Costituzione americana furono stampate utilizzando la canapa), ma è solo nel Ventesimo secolo che la stretta proibizionista ha reso illegale e/o difficoltoso il commercio della pianta in tutte le sue peculiarità.

La politica proibizionista dei tempi recenti 

Agli inizi del ‘900, il mercato della canapa era fiorente: le fibre venivano utilizzate per le vele e i cordami e l’Italia era, con quasi 1000 ettari di terreno coltivati, il secondo produttore mondiale di canapa, nonché principale fornitore della Marina Britannica. Ancora oggi, la tradizione agricola del Sud Italia è legata alla coltivazione della canapa, con le porzioni di terra dedicate alla lavorazione della pianta, denominate “canapine”, presenti in diverse regioni del Meridione.

Nel 1937, la situazione di tolleranza nei confronti della cannabis cambiò poiché negli States venne pubblicato il Marijuana Tax Act, un documento di tassazione che diede inizio al movimento proibizionista nei confronti della produzione, del commercio e dell’uso di tutti i ceppi della cannabis, inclusi quelli senza thc. In breve, ciò avvenne perché il documento si basava prevalentemente sugli effetti psicotropi della pianta e le tasse erano talmente alte da rendere impossibile la produzione e l’esportazione per tutta la filiera commerciale. Dopo una nuova apertura, oggi sono 37 gli Stati federati in cui l’uso della cannabis è regolamentato a livello statale.

Diversa è la situazione in Italia, dove nonostante il 58% dei cittadini si reputi favorevole alla legalizzazione della cannabis e nel 2022 sia stata avanzata una proposta di referendum per depenalizzare la coltivazione domestica e altri reati legati alle droghe leggere, firmata da oltre 500.000 persone, ma brutalmente bocciata dalla Corte Costituzionale (rappresentata dal giudice 86enne Giuliano Amato), le istituzioni sembrano non capire l’importanza di una regolamentazione della sostanza sul suolo italiano.



Perché in Italia dovremmo legalizzare la cannabis: qualche dato

Oggi in Italia la materia è regolamentata dal D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, conosciuto anche come “Legge Vassalli-Jervolino“. L’unica interruzione è stata dal 2006 al 2014, anni in cui sono stati in vigore alcuni articoli del D.L. 21 febbraio 2006 n. 49, conosciuta come “Legge Fini-Giovanardi“, un decreto in cui veniva equiparata la cannabis a sostanze altamente pericolose come l’eroina e sia per il consumo (è stata messa in discussione la quantità reperita al consumatore per l’uso personale) che per lo spaccio si rischiavano dai 6 ai 20 anni di detenzione. La Fini-Giovanardi è stata dichiarata incostituzionale nel 2014, poiché le norme erano state frettolosamente approvate nell’ambito del decreto per le Olimpiadi di Torino.

Così la Vassalli-Jervolino, una legislazione risalente a più di trent’anni fa, continua a regolamentare la circolazione della sostanza in Italia, insieme alla criminalità organizzata. Infatti, il fatto che il commercio in Italia sia illegale lascia campo libero alle varie mafie (‘Ndrangheta al primo posto) operanti nel Paese che, oltre ad immettere sul mercato fiori contaminati con sostanze altamente nocive (come ammoniaca, lacca, lana di vetro, piombo, alluminio, ferro, cromo, cobalto e altri metalli pesanti), ricavano dal commercio su strada della cannabis diversi miliardi di euro all’anno, soldi che vengono poi reinvestiti in attività legali (cioè riciclati).

Inoltre, è stato stimato che se l’Italia decidesse di legalizzare la cannabis per l’uso ricreativo (ad oggi l’uso terapeutico è consentito previa prescrizione medica e voglia di superare moltissimi ostacoli burocratici), nelle casse dello Stato entrerebbero circa 8 miliardi di euro all’anno. Anche l’opportunità dell’apertura di un nuovo mercato e nuovi posti di lavoro non è da sottovalutare, dato che la disuguaglianza sociale nel Paese continua ad aumentare e circa 5,6 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta. Quindi, oltre a colpire la criminalità organizzata ben infiltrata sul territorio, la legalizzazione della cannabis porterebbe diversi aspetti positivi per la collettività.

Certo, come l’alcol, il tabacco e la caffeina, la cannabis resta una droga ed è doveroso che ci sia un giusto controllo per la valutazione dei rischi correlati alla produzione e all’utilizzo della sostanza, un monitoraggio che oggi non avviene e la scarsa qualità delle sostanze immesse dalle piazze di spaccio si traduce nel mettere in pericolo la salute dei consumatori. Del resto, nessuno direbbe a un bambino, a una donna incinta o a una persona immunodepressa che può fumare sigarette o bere alcolici o esagerare con il caffè e allo stesso modo nessuno consiglierebbe mai loro di farsi una canna, anche se la cannabis dovesse essere legalizzata.

Nel caso italiano legalizzare la cannabis è un atto di civiltà

Ostinarsi a mantenere una politica proibizionista quando la volontà dei cittadini è tutt’altra (basti pensare che la percentuale dei favorevoli praticamente supera la percentuale degli italiani andati a votare) significa scegliere di continuare ad essere ciechi e non attuare una strategia economica e sociale che contribuirebbe a migliorare lo stile di vita della collettività.

Così, mentre oltreoceano la Bic fa usare il suo ultimo accendino all’icona delle casalinghe Martha Stewart per le candele e al rapper Snoop Dogg per i blunt e in diversi Stati dell’UE i segni di apertura verso l’uso ricreativo portano già i loro benefici, in Italia si ostacola anche il commercio della cannabis light, cioè le varietà con una percentuale di thc pressoché azzerata.

A tutti gli effetti, anche se l’opinione pubblica continua a dividersi i dati sono chiari: un detenuto su tre si trova in carcere per la violazione della Jervolino-Vassalli e nel contesto di sovraffollamento e morte che vivono i detenuti in Italia una riforma legislativa della sostanza basata sulla tolleranza sarebbe non solo un colpo alla criminalità organizzata, ma anche un atto di civiltà che seguirebbe l’esempio di governi più progressisti (in Germania il governo di Olaf Scholz segue una linea progressista e liberale, contando anche i Verdi tra i suoi alleati e non si può non citare Pepe Mujica e la sua politica di liberalizzazione in Uruguay).

Certamente, per ora pensare alla possibilità di vedere questo atto di civiltà diventare realtà resta pura utopia, ciò non significa che la cannabis non dovrebbe essere legale in Italia, semplicemente ancora una volta il popolo è pronto mentre le istituzioni non lo sono.

Aurora Colantonio

 

 

 

 

 

 

 

 

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