La caduta del governo Barnier segna un momento di profonda crisi per la Francia, con il Parlamento più frammentato degli ultimi decenni incapace di garantire stabilità politica. La mozione di censura, sostenuta da una coalizione inedita tra la sinistra di Jean-Luc Mélenchon e l’estrema destra di Marine Le Pen, ha messo fine al mandato del premier conservatore dopo soli tre mesi.
La mozione di censura che ha ribaltato il governo
Il governo francese guidato da Michel Barnier è ufficialmente caduto dopo appena tre mesi di mandato. Una mozione di sfiducia, presentata dal Nuovo Fronte Popolare di sinistra di Jean-Luc Mélenchon e sostenuta dall’estrema destra del Rassemblement National, ha ottenuto 331 voti, ben oltre i 289 necessari per la maggioranza. Questo evento segna una delle rare volte in cui un governo francese viene sfiduciato, il secondo caso nella storia della Quinta Repubblica, dopo quello di Georges Pompidou nel 1962.
Il risultato riflette la profonda frammentazione politica dell’Assemblée Nationale, dove tre grandi blocchi – sinistra, centro macronista ed estrema destra – si dividono quasi equamente i seggi, rendendo impossibile per una sola fazione governare con stabilità. La presidente dell’Assemblée, Yael Braun-Pivet, ha annunciato ufficialmente l’esito del voto in un’atmosfera di tensione e scontri verbali tra i parlamentari.
Le reazioni: tra accuse e appelli
Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale, ha definito il risultato “inevitabile”, sottolineando l’incapacità di Macron e del suo governo di affrontare le sfide del Paese. Mélenchon ha anche invocato elezioni presidenziali anticipate, una richiesta subito respinta dall’Eliseo.
Marine Le Pen, invece, ha adottato un tono più moderato, dichiarando che la caduta di Barnier “non è una vittoria”, ma una scelta necessaria per “proteggere i francesi”. La leader del Rassemblement National ha poi aggiunto che lavorerà con il futuro premier per approvare una manovra finanziaria “accettabile per tutti”.
Barnier: un commiato tra emozione e delusione
Nel suo ultimo discorso all’Assemblée Nationale, Michel Barnier ha difeso il suo operato, basato sul dialogo e sulla responsabilità, ricordando il difficile contesto economico in cui il suo governo si è trovato a operare. “La verità si imporrà a qualsiasi altro governo”, ha detto, riferendosi alla necessità di ridurre il debito pubblico della Francia, una delle principali critiche mosse al suo esecutivo.
Barnier ha lasciato la sede del Parlamento diretto a Matignon, dove ha seguito il voto insieme ai suoi ministri. Per il veterano politico conservatore, è stato “un onore essere il primo ministro di tutti i francesi”, nonostante il breve e travagliato mandato.
Macron al lavoro per un nuovo premier
Il presidente Emmanuel Macron, rientrato da una visita di stato in Arabia Saudita, ha avviato le consultazioni per nominare un nuovo primo ministro. La sua priorità è quella di formare rapidamente un governo per evitare un vuoto di potere, soprattutto in vista della visita del presidente americano Donald Trump a Parigi per la riapertura di Notre-Dame.
Secondo fonti vicine all’Eliseo, Macron vuole un premier in grado di dialogare con tutte le forze politiche, ma la strada si presenta in salita: la destra e la sinistra rimangono profondamente contrarie alla linea macronista, mentre l’estrema destra reclama concessioni specifiche, come l’indicizzazione delle pensioni all’inflazione.
Una pericolosa crisi
La caduta del governo Barnier sottolinea la crisi politica che attraversa la Francia, con un Parlamento ingovernabile e un presidente che non può indire nuove elezioni legislative fino al 2025. La mozione di sfiducia è stata un colpo fatale per un governo già indebolito dal mancato sostegno alla legge di bilancio 2025, bocciata sia dalla sinistra sia dall’estrema destra.
Il futuro del Paese rimane incerto: il prossimo premier avrà il compito arduo di ridurre il debito pubblico e affrontare le crescenti tensioni sociali, cercando di evitare nuove crisi istituzionali. Macron, nel frattempo, dovrà trovare una figura capace di unire una nazione sempre più divisa.