Allarme che non si fa attendere quello del Copasir con la caduta della roccaforte del terrore, del tempio jihadista, quello del possibile arrivo tra i profughi, di combattenti scappati dall’assedio, dalla liberazione di Sirte.
Il generale Mohamed al Ghasri, al comando delle milizie libiche, le quali hanno accerchiato la città attraverso ogni via di fuga, per mare e per terra, mentre i raid aerei statunitensi all’interno dell’operazione Odyssey Lightning portavano avanti i loro bombardamenti, porta a termine così una battaglia lunga e sfiancante con una vittoria che non passa inosservata e che soprattutto dà la possibilità di sperare nel progetto di riconquista dei territori e di definitivo abbattimento di un integralismo terrorista fuori controllo e dell’allarme che ne deriva.
“Gli Stati Uniti sostengono la comunità internazionale a supporto del governo di accordo nazionale (di Tripoli) nei suoi sforzi per ripristinare la stabilità e la sicurezza in Libia. Queste azioni contribuiranno ad impedire che Daesh (Isis) abbia un rifugio sicuro in Libia da cui potrebbe attaccare gli Stati Uniti e i nostri alleati”, questo è quanto il comunicato dell’Africom, alias il comando militare Usa per l’Africa, dice in merito all’operazione portata avanti, che senza l’aiuto delle milizie libiche non avrebbe garantito il risultato festeggiato oggi. Una conquista, sì, che se da un lato rafforza il governo del premier designato Fayez al Sarraj con la caduta del fortino Sirte, dall’altro è un semplice passo avanti nella sconfitta di quel mostro dalla bandiera nera.
Di fatto, quel che emerge dalla “battaglia”, durata due mesi, è una palese superiorità strategica da parte dei jihadisti, i quali in, approssimativamente, poche centinaia hanno tenuto fermo l’allarme e forte il potere sulla roccaforte libica. Stando ai dati, essenziali, sebbene limitati, risultano essere stati gli aiuti USA e britannici, quanto creatori di scontento fra una popolazione sempre più ridotta agli stremi e fomentata dall’orgoglio nazionalista e poco raccomandabile del generale Khalifa Haftar.
Una sconfitta ancora distante e piena di punti di domanda di fronte a un problema che inizia a porsi all’interno di strutture sociali che sempre più si vanno a consolidare e che avvertono il fronte di resistenza esterno sempre più come nemico, ingerente, “imperialista”, sotto la popolana guida dei movimenti integralisti.
Ma stando al Copasir, come su annunciato, il crollo del tempio jihadista non è che il nucleo scatenante un nuovo allarme. Stando a quanto emerge, quella bandiera nera potrebbe sciorinare silente tra i barconi colmi di profughi in arrivo, destando così non pochi timori rispetto a una nuova emergenza colma di incertezze e che rende ancora una volta attuale la ridondante questione del controllo dell’immigrazione, la cui speculazione italiana riserva la licenza poetica della sola battaglia politica, nonché di un circolo vizioso che non conduce mai a una soluzione.
A tal proposito, come mia abitudine, porterei all’attenzione un libro, magari di nicchia, ma un buono spunto per sfatare i vari miti sull’immigrazione in Italia, di Asher Colombo, professore di Sociologia presso l’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, “Fuori Controllo?”
Attraverso una digressione che passa per le varie normative adoperate, il loro ingresso, talvolta il loro tardivo accesso all’interno dei codici della giurisprudenza italiana, rispetto alle battaglie politiche che le coinvolgono o le varie vicende che si sono successe, il professore Colombo sfata quanto di mistico c’è nel credo generale, dando una prospettiva della realtà al di sopra degli schieramenti politici, la quale mostra, senza filtro, quanto si sia arrivato ad un momento di impasse istituzionale in materia e gli “effetti perversi” che il reato di ingresso e di permanenza illegale, frutto della decantata Bossi-Fini che si colloca in stretta continuità con la ’98 Turco-Napolitano, hanno creato, con l’impossibilità di azione che ne deriva.
“Il caso italiano mostra che, a differenza di un’opinione assai comune, il colore politico dei governi ha solo un effetto modesto sul contenuto e sull’efficacia delle politiche di controllo migratorio, […], mentre gli equilibri tra istituzioni da una parte, livello nazionale e sovranazionale dall’altra, mercato del lavoro e ciclo migratorio svolgono un’azione rilevante nel decidere le sorti, e l’efficacia, degli strumenti di cui si dispone in questo campo”.
Un buon accordo tra le istituzioni, con gli strumenti idonei, sì, ma non un barbaro istinto da “caccia alle streghe”. Razionalità, non provincialismo. Perché non saranno i forconi e le urla a metter pace.
Di Ilaria Piromalli