Che il cantautore Francesco Guccini (Modena, 1940) abbia trascorso un periodo della propria vita a Bologna è cosa nota. Gli artisti non lasciano passare anni di esistenza, senza distillarne qualche perla. Nel capoluogo emiliano, Guccini si trasferì nel 1960, nella famosa via Paolo Fabbri n. 43 che ha dato il nome a un suo album del 1976. E Bologna s’intitola, invece, una canzone compresa in Metropolis (1981).
Nel testo, la città si materializza in forma umana – come avviene nella nostra mente ogni volta che amiamo davvero qualcosa. Quasi a sottolineare il carattere affettivo della rappresentazione, la Bologna di Guccini è donna: “Una vecchia signora/dai fianchi un po’ molli/col seno sul piano padano/ed il culo sui colli.” Non un’amante ideale, magari… ma una cara nonna di sicuro.
È anche una città ossimorica, a suo modo. È “arrogante e papale”, forse perché compresa nell’ex-Stato Pontificio. Però, è anche “rossa e fetale”: rosso è il colore dei suoi edifici, ma – volendo – può essere un riferimento politico. È famosa, infatti, per essere stata guidata quasi ininterrottamente da amministrazioni di sinistra, nel secondo dopoguerra.
“Bologna per me provinciale, Parigi minore”: con un’attiva vita culturale, per quanto non immortale e spregiudicata ai livelli di Sartre e di Baudelaire. Un teatro sufficiente perché un giovanotto dal cuore artistico cerchi di “sudarsi un amore”. Qui, la “Bohème” è “confortevole,/giocata fra casa e osterie,/quando a ogni bicchiere rimbalzano le filosofie…” La poesia ha lo stesso sapore del vino ed è “senza pudore o vergogna,/cullati fra i portici cosce di mamma/Bologna”. L’umiltà di un’atmosfera “provinciale” toglie la soggezione e dà coraggio alla parola artistica, che è sempre un’intima confessione.
Arriva ora quel riferimento alla strage del 1980, alla stazione: “Bologna capace d’amore,/capace di morte […] che sa stare in piedi,/per quanto colpita…” Come racconta in un’intervista su Repubblica.it, il cantautore non ha mai voluto scrivere di più sull’episodio: “A botta calda era impossibile farlo. E anche dopo mi è sempre stato difficile, il rischio era
di cadere nella retorica.” Però, citando i versi di cui sopra, Guccini sottolinea: “Quella mattina è tutta in questa frase”.
La canzone menziona anche “i tuoi morti per sogni/davanti al tuo Santo Petronio”. È forse un riferimento a Piazza Maggiore come teatro del Sessantotto bolognese? Cortei e manifestazioni la animarono, sotto gli occhi ideali della chiesa dedicata al patrono.
Così com’era iniziato, il testo finisce con continui ossimori: Bologna è bambina, è volgare matrona, è perbene, è “busona” (= “prostituta”, nel dialetto locale). È una città che sfugge alle etichette, perché “ombelico di tutto”. Non c’è da stupirsi che sia difficile descriverla in modo efficace: “Oh quante parole ti cantano,/ cullando i cliché della gente,/ cantando canzoni che è come cantare di niente…” Ma da questo errore (possiamo dirlo tranquillamente), il Guccini nazionale si è salvato a pieni voti.
Erica Gazzoldi