“Si scandalizza?” gli disse Rosetta. “Hanno fatto qualcosa di diverso da noi? Erano gente di coraggio, più di noi.”
LA BELLA ESTATE, Tra donne sole, Cesare Pavese
Cesare Pavese muore suicida il 26 agosto 1950, in una stanza dell’Albergo Roma di Torino: due mesi prima la critica lo consacra ufficialmente con La bella estate, una raccolta di tre romanzi brevi raggruppati all’interno di un’unica opera, pregna di trasgressione e libertà, nell’ottica dell’irresistibile fascino del limite.
I tre romanzi sono in realtà delle storie a parte, a volerne fare una critica riallacciate, se vogliamo, ad altre opere dell’autore, tuttavia la premiata raccolta ha una sua ragion d’essere che parte dal racconto spassionato di giovani protagonisti, ognuno molto diverso dall’altro, talvolta goffi, ingenui, o anche audaci, sfacciati, pieni d’orgoglio o di pudore: un racconto del limite e dei suoi sodali, un limite inaccettabile per quei tempi. Eppure quel desiderio di scoprire il vizio, di ostentare con violenza le tentazioni non è altro che coraggio, la libertà di essere io.
Tra donne sole è poi il racconto simbolo di quanto spesso si creda di essere un modello di libertà, di espressione e di pensiero, laico, puro e per nulla al mondo condizionato, quando in realtà si tratta della vacua illusione di un’apparenza fatta di sole forme, il cui valore, alla lunga, si rivela poco più di niente. Un niente distruttivo. Un velo all’espressione di sé.
Ma la libertà di essere io è autodeterminazione, è la capacità di essere se stessi al pieno delle proprie possibilità, di scoprirsi, di conoscere senza pudore ogni lato di sé, imparando talvolta ad accettarlo, talvolta a migliorarlo, una conoscenza incondizionata del proprio inconscio.
Quando parliamo di cultura, c’è oggi la strana frequenza, data da un cinico dominio della tradizione Occidentale, di considerare inferiori, piuttosto che oggetto di “freno all’integrazione” le altre. Quanto abbia del ridicolo un’affermazione del genere credo sia sfuggito a molti, specie quando a pronunciarla è un capo di stato che forse non considera i valori che fanno capo a quell’Unione di cui si fa anche portavoce.
Così capita che al sindaco di qualche località di mare non piaccia che le donne siano fin troppo coperte, e via al caso burkini, con un netto no a un sì detto senso del pudore, che libertà è la possibilità di scoprirsi e far caciara. E in fila indiana, piano piano, le varie località vicine si accodano alla teatrale decisione, trasformando la famosa Costa Azzurra in una surreale Costa all’avanguardia…dell’ignoranza e del sì concesso senso della decadenza.
Vedete, la libertà, quel fantasma inneggiato con libri, statue, opere teatrali, saggi, monologhi, quadri, fotografie e qualunque altra forma si voglia citare, non è imposizione, non è divieto. Credere di essere in qualche modo in grado di poter insegnare civiltà per qualche centimetro in meno di gonna e la dialettica colorata con qualunque volgarità, non è sinonimo di progresso. Pensare di essere dei paladini dei diritti umani scoprendo le cosce e i volti, per incentivare l’integrazione, è come pensare di essere laici per una bestemmia cadenzata ad ogni frase: stupido.
Forse è quando si smetterà di parlare di veli, di sottolineare questa differenza d’indumenti, che l’integrazione potrà esserci senza freni, nella piena libertà di essere niente di diverso da se stessi.
…Allora scendemmo e guardammo le colline. “È bello quassù” disse Rosetta.
“Il mondo è bello,” disse Momina, venendoci dietro “se non ci fossimo noi”.
“Noi sono gli altri” dissi guardando Rosetta. “Basta far a meno degli altri, tenerli a distanza, e allora anche vivere diventa una cosa possibile.”
“È possibile qui,” disse Rosetta “per un momento, per il tempo di una corsa.”
Di Ilaria Piromalli