Tra il 30 novembre e il 1° dicembre 1999, Seattle divenne teatro di un evento che segnò la nascita di un movimento globale contro la globalizzazione – anche riconosciuto come movimento no global: migliaia di attivisti si radunarono per protestare contro il WTO Millennium Summit, dando vita a una delle manifestazioni più emblematiche contro la globalizzazione economica e il capitalismo sfrenato. La protesta, passata alla storia come la battaglia di Seattle, non fu solo un momento di dissenso, ma anche una scintilla per un nuovo ciclo di mobilitazioni internazionali contro i Grandi e i potenti della terra.
La battaglia di Seattle, l’assedio al WTO e l’inizio di un movimento
Il WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio, aveva scelto Seattle per ospitare il vertice con l’obiettivo di promuovere il libero mercato e l’abbattimento delle barriere commerciali. Tuttavia, circa 40.000 persone – tra ONG, sindacati, ambientalisti e semplici cittadini – arrivarono in città con l’intento di bloccare i lavori, e protestare contro una sempre più incontrollabile accelerazione del mercato capitalista e globale.
Tra il 30 novembre e il 1° dicembre, i manifestanti formarono una barriera umana intorno al centro congressi, impedendo ai delegati di accedere alla sede delle riunioni. L’efficacia del blocco portò addirittura all’assenza di personalità come Kofi Annan, allora Segretario Generale dell’ONU, dalla sessione inaugurale.
L’obiettivo della protesta, che coinvolse le masse a livello internazionale, aveva come obiettivo quello di contrastare e opporre resistenza alla globalizzazione senza regole e al libero mercato, con la conseguente fine del sempre più massiccio potere delle grandi multinazionali.
L’escalation delle violenze
Le autorità, sopraffatte dalla portata della protesta, reagirono con metodi repressivi. Nella battaglia di Seattle, la polizia della città utilizzò gas lacrimogeni, manganelli e proiettili di gomma per disperdere i manifestanti. I disordini raggiunsero l’apice nella serata del 30 novembre, con episodi di vandalismo attribuiti al movimento dei black block, una frangia radicale che distrusse negozi e sedi di multinazionali. Le immagini dei cassonetti in fiamme e delle vetrine distrutte fecero il giro del mondo, trasformando Seattle in un simbolo del dissenso.
La fine del vertice e le conseguenze
Il summit del WTO venne compromesso dalle proteste, costringendo le autorità locali a dichiarare lo stato di emergenza e a imporre coprifuochi. Le manifestazioni continuarono nei giorni successivi, ma il 6 dicembre il capo della polizia si dimise, assumendosi la responsabilità per la gestione fallimentare degli scontri. Il bilancio finale parlò di centinaia di arresti e feriti, ma Seattle lasciò un’eredità duratura: l’emergere di un movimento capace di coordinarsi su scala globale.
La battaglia di Seattle fu solo l’inizio. Il movimento no global cominciò a radicarsi dopo la battaglia di Seattle, sia per ciò che riguarda le pratiche politiche sia per ciò che riguarda i simboli usati nelle piazze delle proteste. Dopo la battaglia di Seattle fu il momento degli scontri a Washington, appena un anno dopo, nell’aprile del 2000. Militanti e attivisti si dirigevano nelle città per mobilitarsi contro le grandi multinazionali del mondo.
A Washington ci furono grandi proteste in occasione del G7, così come a Praga, nel settembre dello stesso anno, al vertice del Fondo Monetario Internazionale; e ancora, il movimento no global arrivò anche a Montreal, nell’ottobre del 2000, per il G20, dove ci furono altre proteste, scontri e arresti. La mobilitazione mondiale contro la globalizzazione arrivò fino al Forum dell’economia Mondiale, a Davos nel gennaio del 2001, lo stesso anno di una delle proteste più violente e represse d’Italia, il G8 a Genova.
Le violenze e la repressione durante quegli eventi, unite agli attentati dell’11 settembre, portarono a una trasformazione del movimento. Da un’opposizione diretta alla globalizzazione, il focus si spostò sulla pace, come dimostrato dalle imponenti manifestazioni contro la guerra in Iraq nel 2003, che coinvolsero milioni di persone in tutto il mondo.
Il lascito della battaglia di Seattle e la trasformazione del movimento no global
Oggi il “popolo di Seattle” è un ricordo per molti, ma le sue idee – dalla lotta alle disuguaglianze alla regolamentazione del potere delle multinazionali – continuano a ispirare movimenti contemporanei, sopratutto per ciò che riguarda la riappropriazione degli spazi durante le proteste.
La battaglia di Seattle ha dimostrato che la protesta può influenzare il corso della storia e ha posto le basi per un nuovo modo di immaginare un mondo più equo e sostenibile. Anche se il movimento no global si è ridimensionato, a causa delle repressioni degli Stati e la criminalizzazione mediatica, il sogno di un cambiamento globale rimane vivo nelle sue cicatrici e nelle sue conquiste.