Avranno finalmente il loro nome sulle carte d’identità nazionali: non più solo madri di, figlie di, o zie (in pubblico), a prescindere dal loro status. Dopo più di tre anni, la battaglia delle donne afghane è stata vinta, tra mille sacrifici. Un importante passo verso la normalizzazione della presenza pubblica, in un Paese dove la figura femminile resta ancora un tabù.
Donne, non esseri umani
Dal 1996, le donne afghane hanno perso la dignità di essere umani. Con l’avvento al potere dei talebani – gli integralisti islamici – il Paese è ripiombato in una condizione che ricorda gli anni bui del medioevo. Le donne, private di tutti i diritti civili e di ogni forma di libertà, non potevano più frequentare le scuole, né le università. Il maschio diventava l’unica loro fonte di sostentamento. Le vedove erano costrette a mendicare.
Oggi, la nuova costituzione afghana sancisce la parità tra uomo e donna di fronte alla legge. Ma, in pratica, le donne che partecipano alla vita pubblica devono affrontare quotidiane molestie e minacce. A distanza di trent’anni, continuano a trascinarsi addosso la prigione di stoffa del burqa. Un abito che rappresenta il simbolo della loro cancellazione dalla società. Pronunciare il nome di una donna in pubblico è disdicevole, quasi un insulto. Addirittura sulla lapide, le donne non hanno diritto al nome: è consentito solo quello di parenti maschi. Ma forse qualcosa è cambiato…
La battaglia delle donne afghane: la nuova legge
Il comitato legale del gabinetto afghano – con a capo Sarwar Danish, uno dei vicepresidenti del Paese – ha confermato che è stata approvata una proposta di modifica della legge sul censimento per includere il nome della madre sulla carta d’identità dei figli. L’emendamento dovrà essere approvato dal Parlamento, con la firma del Presidente. Come scrive Il Messaggero, il New York Times ha seguito il percorso di questa legge, passo dopo passo. Stando a quanto scritto sulla carta, non si potrà più definirle my goat o my chicken. Sul certificato di nascita dei figli verrà indicato il nome della madre.
È passato un anno dall’ assassinio di Mena Mangal, donna giornalista e attivista per i diritti umani. Colei che aveva sempre rifiutato di abbandonare il suo Paese, le sue compagne:
Voglio lottare per loro, per tutte le donne incatenate dal sopruso. Che senso avrebbe la mia lotta se io fuggissi per mettermi in salvo? Quante Donne, vittime della violenza, possono fuggire? Nessuna. No, io resto.
Ma la battaglia delle donne afghane non si è fermata.
È partita dalla provincia di Herat la battaglia delle donne afghane per il riconoscimento della loro propria identità: attiviste locali si sono battute fino all’ultimo respiro affinché si abolissero la norma e le usanze discriminatorie, al pari dell’uso del burqa.
Where is my name?
Queste donne hanno lanciato un hashtag, #whereismyname? che ha fatto il giro del mondo, conquistando migliaia di adesioni.
Il cambiamento al sistema di identificazione riguarda il ripristino del diritto più fondamentale e naturale delle donne, un diritto che viene loro negato. Stampando il suo nome, diamo alla madre il potere, e la legge le conferisce determinate autorità per essere una madre che può, senza la presenza di un uomo, ottenere documenti per i suoi figli, iscrivere i suoi figli a scuola, viaggiare.
Queste le parole di Laleh Osmany, tra le capofila del movimento #whereismyname?
Si tratta di una vittoria simbolica, un piccolo ma grande passo per tutti coloro che si trovano a lottare per i propri diritti. L’Afghanistan, infatti, sta avviando delle trattative per raggiungere un accordo di condivisione del potere con i talebani.
Le opposizioni
Le realtà rurali però, continuano a essere molto conservatrici. Non tutti gli afghani sono d’accordo sulle novità introdotte dalla nuova normativa. Molti considerano ancora le donne come una proprietà che non si deve esporre, in ogni caso.
A tal proposito, Laleh Osmany ha aggiunto
La maggior parte dei limiti per le donne nella società non ha alcun fondamento nella religione, e me ne sono resa conto in profondità nei miei quattro anni come studentessa di diritto islamico. Nell’Islam non c’è nulla che limiti l’identità delle donne.
Senza la presenza di un uomo
Questo cambiamento, sebbene sia solo un primo passo, consentirà alle donne di avere indietro la loro propria dignità come esseri umani, e di riappropriarsi della loro propria autorità. Senza la presenza di uomo.
Per questo, vorrei concludere citando William Shakespeare
Per tutte le violenze consumate su di lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le sue ali che avete tarpato, per tutto questo: in piedi, signori, davanti ad una Donna!
Giulia Chiapperini