L’uso terapeutico degli psichedelici

La nuova frontiera della ricerca che ci invita ad abbattere i limiti della nostra coscienza, osteggiata da antiquati pregiudizi ideologici.

L'uso terapeutico degli psichedelici induce a stati in cui ci sentiamo parte di un Tutto che trascende i confini della nostra individualità.

Un’ignoranza diffusa

Nell’edizione serale del TG1 del 7 Gennaio è andato in onda un breve servizio dedicato all’uso di sostanze psichedeliche da parte di Elon Musk. Al suo interno si mischiavano in un gigantesco calderone gli allucinogeni assieme ad altri tipi di droghe: si passava senza distinzione dai funghetti alla cocaina, in un’ottica demonizzante. La superficialità con cui canali simili trattano un argomento così vasto, dimostra l’ignoranza generale – soprattutto nel nostro Paese – riguardo il crescente uso terapeutico degli psichedelici.

Infatti, lo stesso imprenditore americano ha risposto alle critiche affermando che utilizzava le sostanze per combattere la depressione. Ora, sicuramente si tratta di una difesa ambigua, poiché assieme all’ecstasy e i funghi allucinogeni, ha assunto anche sostanze come la cocaina che non hanno alcun valore terapeutico. Inoltre, il divieto per tutti i suoi dipendenti di fare uso delle stesse sostanze da lui assunte ha contribuito ad alimentare le critiche. Tuttavia, è necessario fare chiarezza sull’uso terapeutico degli psichedelici, una tematica che negli ultimi decenni ha attirato sempre di più l’attenzione degli studiosi, specialmente di psicologi e psichiatri.

La scoperta e la condanna

Gli effetti dell’LSD furono scoperti per caso dal chimico Albert Hoffmann nel 1938, che si contaminò per sbaglio con la sostanza, assorbita attraverso la sua pelle in laboratorio. Fin da subito la comunità scientifica entrò in fermento e le ricerche proseguirono a gran ritmo fino agli anni ’70.

L’interesse derivava dalle esperienze oniriche provocate, che sembravano liquefare i muri della coscienza, suscitando una sensazione di perfetta armonia con il mondo. Inoltre, i pazienti che le assumevano mostravano un’apertura totale nel discutere di qualsiasi problema, rimuovendo i blocchi inconsci emersi durante le sedute di psicoterapia. Il motivo era il rilascio di ossitocina, l’ormone che stimola l’empatia. Perciò, lo psichiatra Humphry Desmond le definì “sostanze psichedeliche”, poiché “mettevano a nudo la coscienza”.

Gli anni ’70 segnarono però una battuta d’arresto per la ricerca. Infatti, le sostanze iniziarono a diffondersi rapidamente, e diventarono un vero e proprio simbolo della controcultura hippie. Ma il presidente americano Richard Nixon – che intanto era politicamente impegnato con la guerra in Vietnam – promosse una propaganda martellante sui rischi delle sostanze psichedeliche verso i giovani americani, resi “pigri” e “disobbedienti”. Gli ideali di pace degli hippie si sposavano male con le mire americane, che avevano bisogno di nuovi soldati da spedire in Asia, e pertanto occorreva demonizzare i simboli di quella cultura.

Rapidamente comparvero slogan che definivano le sostanze psichedeliche “figlie del demonio”, spot televisivi in cui si mostravano vite rovinate a causa degli allucinogeni e non furono più finanziate le ricerche su tali sostanze.

Le nuove frontiere della ricerca

Malgrado i tentativi del governo americano, l’interesse sulle potenzialità dell’universo psichedelico non si è mai spento. Dagli anni ’90 in poi, abbiamo assistito a una progressiva riapertura che ha riportato l’uso terapeutico degli psichedelici al centro del dibattito scientifico.

Non causando alcun tipo di dipendenza, ed essendo facilmente smaltibili dal nostro corpo, gli psichedelici si prestano a numerosi impieghi, e tutti li possono assumere. Per comprendere l’importanza di queste ricerche, basti pensare che la depressione è una delle condizioni più diffuse nella società contemporanea. L’OMS nel 2022 ha stimato che almeno un miliardo di persone ne è afflitta. In uno studio del 2015 condotto da Carhart-Harris, l’impiego della psilocibina – accompagnata ovviamente da sedute terapeutiche – ha prodotto un miglioramento in tutti i dodici pazienti sottoposti all’esperimento, anche in casi di depressione cronica.

L’uso terapeutico degli psichedelici si estende anche ai casi di PTSD (Stress post-traumatico), ansia, e trova largo impiego nelle terapie per i malati terminali. Infatti, è comprensibile che molte persone provino grande terrore quando comprendono che la propria vita sta volgendo al termine. Le sostanze psichedeliche possono alleggerire questo percorso, poiché come visto inducono una sensazione di comunione con il cosmo. Nella dissoluzione dell’individualità, si ha la sensazione di fare parte di qualcosa di più grande, che trascende i confini della nostra coscienza e del nostro corpo. Non si percepisce più il Sé e il mondo, ma il Sé-nel-mondo. La parte di un Tutto di cui siamo inconsci partecipi.

La ricerca in Italia e nel mondo

Gli Stati Uniti e l’Australia sono tra i Paesi più avanzati nelle ricerche sull’uso terapeutico degli psichedelici, soprattutto grazie alla presenza di comunità indigene in cui queste sostanze costituiscono un patrimonio culturale. Si pensi al movimento Decriminalize Nature, che da anni porta avanti la battaglia per la decriminalizzazione degli allucinogeni, riscuotendo importanti successi.

In Europa la situazione è più complicata, ma molti Paesi come la Svizzera hanno da tempo aperto le proprie frontiere all’universo psichedelico. Infatti, il Paese elvetico ha legalizzato l’LSD come prescrizione terapeutica fin dal 1988 e oggi i suoi centri sono tra quelli più all’avanguardia in questo settore.

Ma in Italia la ricerca è ancora affidata a centri pionieristici, che devono fare affidamento su scarsi finanziamenti. Le voci che nel nostro panorama accademico si sollevano rimangono spesso isolate, e non gli resta che cercare collaborazioni con centri all’estero. Infatti, i maggiori ostacoli sono proprio le istituzioni, e il governo di destra ha complicato ancora di più la strada verso questo tipo di progresso, osteggiando qualsiasi tipo di apertura su tematiche riguardanti le droghe.

Sorge però una domanda: come conciliare un simile odio verso le sostanze psichedeliche all’ammirazione verso figure come quella di Elon Musk? L’imprenditore americano è stato infatti ospite al festival Atreju di Fratelli d’Italia, e più volte Giorgia Meloni ha ribadito la sua stima.

Evidentemente l’idiosincrasia verso gli allucinogeni è il risultato di antiquati pregiudizi ideologici che ancora oggi minano e compromettono la ricerca, limitando le nostre possibilità di abbattere le frontiere che ci rendono prigionieri di un modello di pensiero basato su un cieco realismo che angoscia e frustra la nostra volontà di pensarci oltre il nostro mestiere.

Alessandro Chiri

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