Il cartello discriminatorio affisso il 18 marzo (e a quanto pare ancora presente) all’Università di Ferrara invita gli studenti ad essere “prudenti”, dato che “alla presenza dell’ingresso sono stati notati degli “zingari” controllare l’atrio di uscita della Sala A”, insinuando quindi il rischio di vedere sottratti i propri effetti personali. Se anche il mondo accademico sta cedendo agli stereotipi discriminatori, il pensiero critico ha miseramente fallito.
Premettendo che non si discute di un’invenzione di Maccio Capatonda ma di un’istituzione accademica, l’Università di Ferrara è la dimostrazione che il fine ultimo degli studi universitari e dell’acquisizione del sapere non è avviare una carriera, bensì sviluppare il pensiero critico. Per questo l’invito alla prudenza comparso negli spazi universitari è assolutamente inaccettabile.
L’Università di Ferrara e la volontà di “superare le barriere”
Visitando il sito dell’Ateneo, appare evidente la vastità delle risorse impiegate per la formazione, l’innovazione e lo sviluppo tech, con la scritta “Nel futuro da sempre. Scienze culture e talenti per superare ogni barriera” che dà il benvenuto al visitatore del sito.
Probabilmente, uno studente decide di frequentare l’Università di Ferrara per accedere ad un vasto campo di opportunità, non immaginando neanche lontanamente che un giorno potrebbe trovare un cartello discriminatorio negli spazi del sapere in cui sta costruendo il suo futuro, nel luogo dove ha la possibilità di apprendere nuovi punti di vista e contribuire realmente allo sviluppo della società in cui vive. Ciò è inconciliabile con l’utilizzo non solo del termine dispregiativo, ma anche dell’associazione del gruppo etnico con la condotta delinquenziale, che va ad alimentare un fenomeno più grande chiamato antiziganismo. In merito si è già espressa la giurisprudenza.
Continuando la navigazione sul sito dell’Università, che è particolarmente attenta al benessere degli iscritti e offre anche uno sportello per il supporto psicologico, si incontra una sezione apposita per i futuri studenti. Questi ultimi vengono accolti da un ologramma in cui si alternano tre distinte parole, che molto probabilmente dovrebbero servire a racchiudere le qualità dell’Università: accogliente, inclusiva e dinamica. Sicuramente, sull’accoglienza (degli studenti) e sulla dinamicità non c’è nulla da obiettare. Per quanto riguarda l’inclusività, appare ovvio che c’è un problema di coerenza con l’avviso che sembra essere ancora affisso sulle mura dell’Università.
L’antiziganismo, l’odio razziale e il sistema che uccide
L’episodio di antiziganismo di cui si è resa protagonista l’Università di Ferrara segue le recentissime morti di due ragazzi di etnia rom: Patrick, 20 anni, un ragazzo con disabilità morto dentro la Casa Circondariale Castrogno di Teramo in dubbie circostanze e Davide, 22 anni, cittadino italiano che è rimasto folgorato nel campo rom di Cupa Perigno (Napoli) a causa di un cavo scoperto nel campo rom in cui viveva e a cui è stata negata la sepoltura perché i documenti non li aveva, non perché non li volesse, ma per gli effetti della Legge 80/2014, art. 5 comma 1.
A inizio anno ha invece creato moltissima indignazione la morte di Michelle, una bimba di 6 anni folgorata anche lei da un cavo scoperto nel campo rom di Giugliano (Napoli). La tragedia di Michelle segna la sconfitta di tutte le istituzioni italiane che, a discapito delle politiche europee, orientate da più di un decennio all’inclusione e alla valorizzazione delle minoranze, osservano con occhi indifferenti le criticità di un sistema che continua ad aumentare le disuguaglianze sociali e a basarsi sulla stigmatizzazione e sulla repressione, una strategia che ha già fallito e continuerà a farlo.
Un messaggio in merito alla morte di Michelle, che è stato ripreso anche dalle principali testate nazionali, denuncia le responsabilità delle istituzioni nell’alimentare un sistema che compromette lo status giuridico di queste minoranze etniche, in contraddizione “con la precarietà abitativa, lavorativa e sociale in cui vivono centinaia di persone“, senza dubbio emigrate, ma che ormai sono stabilizzate sul territorio, tanto che le famiglie Romanì hanno raggiunto la seconda e la terza generazione.
Patrick, Davide e Michelle erano dei ragazzi italiani, nati e cresciuti in Italia, Michelle avrebbe vissuto il suo primo giorno di scuola esattamente 48 ore dopo la tragedia che le ha spezzato la vita, ecco un altro motivo per cui il messaggio dell’Università di Ferrara è assolutamente inaccettabile.
L’Università dovrebbe essere uno spazio inclusivo dove poter crescere, quindi la domanda che sorge spontanea è: come può un’istituzione del sapere cedere a degli stereotipi discriminatori così banali? Perché invece di stimolare la conoscenza e la comprensione delle altre culture, l’amministrazione dell’Università di Ferrara ha preso la decisione di allertare gli studenti sul pericolo di un potenziale furto e nessuno si è domandato se fosse lecito appendere un avviso del genere?
Probabilmente qualcuno ha pensato che lo fosse e la pericolosità celata dietro un gesto così superficiale sta nell’alimentare il clima di odio, repressione e intolleranza che sembra affermarsi sempre più all’interno degli enti che dovrebbero invece educare all’inclusione, alla condivisione e al rispetto per la persona umana, tutti valori che non conoscono etnie.
Aurora Colantonio