L’Unione europea e il suo “spezzatino politico” sul tema delle migrazioni umane

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Leonardo Palmisano Ultima Voce

– Di Leonardo Palmisano –


Esiste un’idea comunitaria, in Europa, sul tema delle migrazioni umane? Esiste un fronte compatto, un condensato di tendenze accoglienti? Ed esiste davvero una direzione umanitaria sposata da tutti i paesi membri, come dichiarano di sovente i portavoce europei mentre vengono fermate le navi delle Ong?

A ben guardare l’Ue non ha una politica comune sulla questione migranti, perché ciascun paese membro mantiene una normativa propria in materia e tende a conservare sovranità sui confini nazionali. Questa posizione è data da una presunta diversità antropologica e da un’oggettiva diversità economica interna al continente, nonché da una collocazione geopolitica non unitaria.

Ad aggravare tutto questo l’assenza di una politica estera comune. Se la Francia mantiene tutto sommato un approccio postcoloniale assimilazionista (compromesso dall’esclusione sociale delle terze e quarte generazioni ‘nere’ delle banlieues metropolitane e dal razzismo crescente della destra post-lepeniana), la Germania continua ad ospitare chi ha sangue tedesco nelle vene o lavoratori stranieri (gestarbeiter) purché siano colti come i medici siriani, l’Austria vive una sorta di autarchia generale che la porta a minacciare di chiudere i confini con l’Italia ogni due per tre, la Spagna ha spostato il tema sul confine col Marocco intraprendendo una politica di contrasto violento ai flussi magrebini con discutibili azioni congiunte di polizia, la Grecia ingaggia un braccio di ferro con Erdogan a Cipro e al confine con la Turchia sul quale si ripropone antistoricamente un’irrisolta conflittualità greco-ottomana, Malta si chiude a riccio sui migranti ma si apre anche troppo ai capitali di dubbia o illecita provenienza, l’Italia, dal canto suo, mantiene una legge (la Bossi-Fini) segregazionista e sposta (complice l’Ue) in Libia la detenzione dei migranti e nel meridione la loro ghettizzazione in baraccopoli.

Questo spezzatino politico viene artificiosamente mascherato dalle retoriche europee e da accordi, come quello di Dublino, che nei fatti compromettono la relocation e favoriscono la concentrazione degli stranieri nei paesi di arrivo. Di conseguenza Italia, Grecia e Spagna sono più sottoposti a pressione migratoria e a politiche di mantenimento interno della popolazione straniera in entrata. A questo dobbiamo aggiungere le scelte dichiaratamente razziste messe in campo dalla Polonia, dall’Ungheria, dalla Romania e dalla Bulgaria. Paesi neocomunitari a democrazia debole o inutile, non solo giovane, intrisa di tendenze autocratiche e compromessa dalla corruzione.

Se vogliamo, a rivelare queste ultime inclinazioni interne all’Ue post-sovietica è la guerra in Ucraina, che da un anno a questa parte sta mettendo in luce quanto siano ambigue le posizioni di questi paesi rispetto ai profughi. Si sta affermando una forma scellerata di selezione all’ingresso dei profughi, basata sulla loro provenienza, sul genere, sui titoli di studio, sulle condizioni di salute e sulla disabilità. Ogni paese decide chi può restare e chi no, con quali caratteristiche e con quali prospettive. L’Ue manifesta in questo modo la propria diffusa ostilità verso i non europei, mettendoli nella condizione di non potersi spostare liberamente da un paese all’altro ma di dover sostare in una sorta di limbo senza scadenza.

Il fatto davvero più singolare è che questa inospitalità non ha fondamento oggettivo, dal momento che in termini demografici l’Ue invecchia e decresce: ha quindi bisogno dei migranti, degli stranieri, di nuova popolazione soprattutto giovane. E ne ha bisogno per non compromettere, per esempio, la tenuta dei sistemi socio-sanitari pubblici e privati e della produttività industriale, dove la manodopera inizia a scarseggiare e dove la robotica e l’innovazione tecnologica non possono sostituire del tutto i lavoratori e le lavoratrici.

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