L’onda rosa in India: la Gulabi Gang

Il movimento femminista che combatte la corruzione e le violenze delle istituzioni indiane.

L'onda rosa in India assieme alla loro celebre arma: il lathi.

Il peso delle parole

Quando parliamo di femminismo ci vengono subito in mente le voci di attrici e attori che negli ultimi anni hanno infiammato il dibattito pubblico, portando l’attenzione sulle problematiche della cultura patriarcale. Dai collettivi come Nonunadimeno, fino alle personalità come Judith Butler, la parola ha costituito lo strumento privilegiato. In una società che si costruisce – teoricamente – sul dibattito, far sentire la propria voce è fondamentale per mettere in luce tutte le forme di violenza che le donne subiscono ogni giorno. Ma nei Paesi in cui la dimensione del dibattito non è così scontata, i movimenti femministi hanno cercato altre vie per farsi ascoltare, dando vita a forme di organizzazione particolari. È il caso della Gulabi Gang, una vera e propria onda rosa in India.

Le origini dell’onda rosa in India

La Gulabi Gang nacque nel 2006, nel distretto di Uttar Pradesh, una delle regioni indiane più arretrate. All’interno delle aree rurali, si può facilmente assistere a episodi di violenza contro le donne o i cittadini più deboli. Le autorità locali non collaborano con i cittadini. Anzi, spesso si rendono protagoniste di soprusi e episodi di corruzione che gli individui non possono combattere.

Il movimento femminista mosse i primi passi proprio da un’esperienza simile. Mentre tornava a casa, Sampat Pal Davi vide un marito che picchiava sua moglie per strada. Nel tentativo di fermarlo, attirò l’ira dell’uomo, che iniziò a percuotere anche lei, che riuscì a malapena a scappare. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Per tutta la sua vita Pal Davi aveva dovuto sottostare alle leggi patriarcali della società indiana, stare in silenzio quando veniva percossa, tenere la bocca chiusa quando il padre aveva combinato il suo matrimonio a dodici anni con uno sconosciuto, e infine accettare senza fiatare il fatto che – in quanto donna – non aveva avuto diritto all’istruzione. Ancora una volta un uomo l’aveva umiliata, ma non era intenzionata ad arrendersi.

Il giorno dopo Pal Davi si presentò a casa di quell’uomo assieme ad un gruppo di donne e lo picchiarono finché quest’ultimo non chiese pietà. Quell’episodio di coalescenza fece capire che, se da sole erano condannate a subire, tutte insieme potevano fare qualcosa per migliorare le vite dei più bisognosi.

Un attivismo orizzontale verso la comunità

Dal 2006 a oggi la Gulabi Gang ha aumentato esponenzialmente le sue attiviste (circa 240.000 nel 2014), esclusivamente donne, anche se l’aiuto maschile è molto apprezzato. Inoltre, il gruppo rifiuta di eleggere un capo, in quanto desidera mantenere un assetto essenzialmente orizzontale, evitando gli accentramenti di potere delle singole (malgrado la figura di Pal Davi risulti necessariamente più popolare). La popolazione ritiene il movimento femminista un vero e proprio punto di riferimento per contrastare la corruzione degli organi politici istituzionali. Infatti, l’attivismo non si limita solo alle questioni di violenza domestica.

La società indiana mantiene ancora un assetto castale, malgrado l’abolizione di quest’ultimo nel 1947, e i membri della casta degli “intoccabili”, i Dali, vivono in condizioni precarie. Sia dal punto di vista economico che dal punto di vista giuridico, devono sopportare le discriminazioni di chi si ritiene superiore per ceto sociale, vedendo calpestati i loro diritti. Come se non bastasse, sono spesso vittima di truffe da parte degli stessi organi politici, che si approfittano del basso livello d’istruzione di questi soggetti.

Anche le donne, spesso analfabete nelle aree rurali, incontrano le stesse difficoltà. Infatti, molte sono incapaci di gestire faccende burocratiche riguardanti le pensioni o eventuali aiuti economici. Quindi l’intervento della Gulabi Gang ha avuto un forte impatto nel miglioramento delle condizioni di questi soggetti più vulnerabili. Queste attiviste vestite di rosa (“Gulabi” in indiano, appunto) aiutano le persone fornendo non solo sostegno economico, quando possibile, ma anche aiutandole a interfacciarsi con le istituzioni, smascherando le ingiustizie e facendo valere i diritti degli individui, o addirittura costruendo scuole.

Sebbene siano “famose” per l’uso dei loro bastoni di bambù (“lathi”) per punire i colpevoli, in realtà la violenza fisica è l’ultima opzione a cui il movimento femminista ricorre. Inizialmente le attiviste cercano sempre di dialogare con l’uomo violento o con l’istituzione, ma se non incontrano collaborazione, passano ad altre forme di intervento.

Ad esempio, nel 2008 il gruppo ha attuato la cosiddetta Gherao attorno a una centrale elettrica nel distretto di Banda, dopo che i funzionari avevano tagliato la corrente alle abitazioni di un villaggio rurale per ottenere favori sessuali. La gherao è una forma di protesta che prevede di circondare determinate strutture e manifestare finché le richieste vengono accolte. I funzionari, chiusi dentro, sono stati liberati solo dopo che hanno accettato di ristabilire il corretto funzionamento della centrale.

In un altro caso, il movimento femminista è intervenuto per ottenere la scarcerazione di una ragazza che aveva denunciato delle molestie sessuali da parte di un politico. In tutti questi casi, le autorità hanno rapidamente accolto le richieste della Gulabi Gang, segno del consenso sempre più diffuso nei confronti del gruppo.

Un punto di riferimento dove la politica delude

Uno dei motivi per cui il movimento femminista ha ottenuto così tanto successo è il rifiuto di un compromesso con le istituzioni. Alcuni partiti (come il Congress Party) hanno cercato di reclutare tra le proprie fila esponenti del gruppo come Pal Davis, ma hanno sempre fallito. Infatti, accettare di giurare fedeltà a un partito e ai suoi ideali implicherebbe necessariamente un ridimensionamento dell’azione del gruppo, e agli occhi della popolazione sarebbe un vero e proprio tradimento.

Il ruolo di opposizione alla corruzione del governo e delle autorità ha reso quest’onda rosa in India un vero e proprio faro per coloro che sono lasciati annegare fra le ingiustizie di un sistema discriminatorio. La Gulabi Gang non vuole identificarsi con gli ideali di un partito, perché la sua identificazione è nel comune dolore di tutte le donne che hanno condiviso le stesse orribili violenze.

Ogni donna che soffre è con me, è la loro battaglia, e io le sto addestrando” afferma Pal Davi. Chi soffre sa che può far sentire la propria voce, far valere il suo corpo, grazie alla coalescenza resa possibile da questi vissuti comuni. Un vissuto che avvicina non solo le donne, ma chiunque sia discriminato. Pal Davi arriva addirittura a glorificare i Dali: “Le persone li chiamano casta bassa. Io non li chiamo casta bassa, li chiamo casta alta. La casta più alta perché servono gli altri. E chi ha bisogno che gli altri li servano sono la casta bassa. […] Le persone che servono gli altri per me sono come dèi.

La delusione politica spinge le persone a cercare nuovi punti di riferimento, e movimento nati dal basso come la Gulabi Gang costituiscono una realtà ideale in cui elaborare una politica alternativa, con focus locale. Infatti, oggi numerose attiviste del gruppo sono nei Panchayati Raj, consigli per la gestione delle piccole comunità.

Tra le battaglie più importanti che il movimento femminista porta avanti ci sono: lotta ai matrimoni forzati infantili (aboliti nel 2006, ma tuttora praticati); violenze per dote e discriminazioni nel mondo del lavoro e dell’istruzione (il tasso di alfabetizzazione è del 54% per le donne, contro il 76% per gli uomini). Inoltre, adesso si avverte sempre più l’urgenza di maggior coinvolgimento e sensibilizzazione della componente maschile, per ampliare ancora di più la base di consensi e riuscire a compiere una trasformazione radicale nella società indiana.

L’onda rosa in India dimostra come sia necessario mantenere l’indipendenza dagli organi politici tradizionali se si vuole operare un vero e proprio cambiamento. Silvia Federici ha evidenziato in molte opere come il femminismo occidentale abbia subito un contraccolpo nel momento in cui è stato istituzionalizzato in organi internazionali, causando una perdita di identità e di focus, operando con un approccio generale laddove se ne necessita uno più specifico.

Ogni contesto ha i suoi problemi, le sue esigenze, e richiede precise pratiche trasformative per ottenere un cambiamento. Solo chi vive queste problematiche in prima persona riesce anche a individuare le leve che permetteranno di sollevare il peso di antiche abitudini discriminanti consolidatesi per secoli in una società. La particolarità della Gulabi Gang va oltre il semplice “femminismo violento” come alcuni l’hanno definita, rappresentando invece una precisa presa di coscienza collettiva che dal basso sta dando una spinta fondamentale verso un cambiamento radicale.

Alessandro Chiri

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