L’omonazionalismo delle destre occidentali

l'omonazionalismo delle destre

Quando un partito si pone come obiettivo l’allargare la propria base elettorale, rinnovando nel frattempo la propria immagine, possono svilupparsi fenomeni che fino a pochi anni fa sarebbero sembrati impossibili: un esempio è l’omonazionalismo delle destre, un fenomeno che sta entrando a far parte delle agende politiche dei partiti di diversi Paesi.

Negli ultimi anni, si è potuto assistere a un processo di progressiva ristrutturazione dei partiti di destra occidentali, che stanno cercando di ottenere i voti di nuove fasce della popolazione rispetto a quelle tradizionali: un esempio è l’appello ormai sdoganato all’elettorato femminile, solitamente attraverso un’appropriazione di temi femministi spesso inseriti in un contesto più tradizionale di sostegno alla famiglia, ma anche con l’esaltazione neoliberista del successo individuale. Un caso diverso e forse più inaspettato è invece quello dell’omonazionalismo, indirizzato verso un gruppo a cui questi partiti si sono dimostrati storicamente ostili.

Che cos’è l’omonazionalismo?

Come si può intuire dai due termini che compongono questa parola, coniata nel 2007 dalla ricercatrice Jasbir K. Puar nell’opera “Homonationalism in Queer Times”, si tratta di un’ideologia nazionalista che si appropria di posizioni di sostegno alla comunità queer, usandole come giustificazione per propugnare ideologie xenofobe e razziste che descrivono monoliticamente la cultura islamica come un pericolo per le persone LGBT+. Le lotte per l’uguaglianza e i diritti vengono in questo modo strumentalizzate per veicolare le tradizionali posizioni anti-migranti di questi partiti, che rappresentano lo straniero come l’Altro da cui difendersi.

Questo approccio funziona?

In alcuni casi, sembrerebbe di sì. Senza dubbio è una strategia che è stata ripresa, in modalità diverse, dai partiti di vari Paesi occidentali: un noto esempio è il discorso con cui Trump, dopo la strage di Orlando nel 2016, durante la quale furono uccise 49 persone in un attacco forse di matrice omofoba, si disse pronto – dimenticando in modo conveniente le posizioni prese in passato – a proteggere dall’oppressione le persone LGBT+. Anche la dé-diabolisation operata da Marine Le Pen per dare un nuovo volto al Front National, allontanandosi da alcune posizioni sostenute in passato e ora percepite come poco allettanti per il nuovo elettorato, va a inscriversi in questa tendenza, così come il progressivo emergere di candidati queer in vari partiti di destra europei e americani.

Da che cosa nasce l’omonazionalismo delle destre?

L’apertura nei confronti della comunità LGBT+ è vista come un modo per fare appello alle giovani generazioni, ma nasce anche dal nuovo status quo sviluppatosi nelle società occidentali negli ultimi decenni: ora che gli Stati hanno sancito l’uguaglianza delle persone indipendentemente dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere ed esistono leggi che – almeno sulla carta – sanzionano le discriminazioni in tal senso, i partiti di destra (compresa quella estrema) si stanno adattando di conseguenza. La figura dello straniero viene costruita come una minaccia nei confronti di un gruppo che solo da poco è tutelato dallo Stato, mentre chi “difende” le persone queer diventa, in quest’ottica, un difensore dei valori democratici.

Gli ultimi sviluppi

La fase più recente della guerra tra Israele e Palestina ha portato a delle nuove declinazioni di questo fenomeno. Israele, infatti, è accusato da anni di pinkwashing da parte di attivisti LGBT+ palestinesi, ovvero di usare le sue posizioni politiche relativamente progressiste nei confronti della comunità queer come un modo per giustificare l’occupazione della Palestina: in accordo con la retorica omonazionalista, infatti, la sua sarebbe una missione “civilizzatrice” diretta verso un popolo dipinto come uniformemente omofobico.

Questo atteggiamento è stato più volte criticato dalle persone LGBT+ palestinesi, che rifiutano la strumentalizzazione delle loro lotte per l’autodeterminazione da parte di ideologie imperialiste che vanno a sostegno dell’oppressione strutturale di Israele. Pur dovendo affrontare delle discriminazioni all’interno delle proprie comunità, specialmente da parte dei partiti di matrice religiosa, gli attivisti denunciano la retorica di Israele, che si rappresenta sui media come un liberatore e sostenitore della comunità queer palestinese per distogliere l’attenzione dai bombardamenti su Gaza e dalle violazioni dei diritti umani.

In conclusione

L’omonazionalismo delle destre sta diventando una strategia sempre più presente nel discorso politico di varie nazioni. Per evitare che i diritti delle persone LGBT+ vengano strumentalizzati da gruppi che li usano come facciata per coprire delle ideologie xenofobe, il rifiuto intransigente di qualsiasi forma di discriminazione dovrà diventare una priorità.

Martina Bassanelli

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