L’Italia continua a negare il diritto d’asilo ai tunisini, che ogni anno vedono le proprie speranze infrangersi sulle nostre coste. Abbandonano un Paese “sicuro” solo sulla carta, per divenire in Italia vittime di procedure accelerate, detenzioni amministrative, espulsioni e rimpatri forzati.
Figli della rivoluzione tradita del 2011, sono sempre più i giovani tunisini che ogni anno tentano la traversata verso l’Italia. I dati ufficiali del Governo italiano indicano un aumento del 385% rispetto al 2019. Gli sbarchi ufficiali sono passati da 2,654 nel 2019, ai 16,752 registrati tra gennaio e novembre 2022. Ad attendere queste persone vi è, però, un meccanismo automatico che porta a considerare ciascun tunisino alla stregua di un “migrante economico”. Ai giovani tunisini (la maggior parte sono uomini tra i 20 e i 30 anni) viene spesso così negato il diritto d’asilo.
Le procedure accelerate che investono i migranti provenienti dai cosiddetti “Paesi sicuri” fanno sì che i tunisini entrino nei CPR con già un provvedimento di allontanamento alle spalle. Hanno solo solo 48 ore prima che il giudice di pace convalidi il trattenimento. Tempo brevissimo per esercitare alcun diritto di difesa. In questo modo, il rimpatrio è l’unico esito possibile e la negazione del diritto d’asilo è sempre più evidente.
Gli accordi d’intesa Italia-Tunisia
Come sottolinea l’avvocato di ASGI Maurizio Veglio, il trattamento riservato ai cittadini tunisini differisce da quello di molti altri migranti:
Non ho mai visto tanti cittadini rimpatriati così velocemente dal CPR di Torino. I tempi sono rapidissimi: entrano nel CPR, fanno udienza davanti al giudice di pace e nel giro di pochi giorni sono sull’aereo che li porta a Palermo per l’identificazione e poi direttamente in Tunisia.
Queste procedure rapidissime, che sacrificano la tutela del diritto d’asilo, impedendo una valutazione concreta di eventuali motivi di non espellibilità per i cittadini tunisini, sono frutto di una serie di accordi tra Italia e Tunisia.
Quest’ultimi si inseriscono nella scia dell’ormai consolidata azione di esternalizzazione delle frontiere e controllo dell’immigrazione tramite accordi bilaterali di dubbia legittimità.
L’ultimo Memorandum d’intesa tra i due Paesi è stato firmato il 16 giugno 2021 tra l’allora ministro degli Esteri Luigi di Maio e il rispettivo collega tunisino Othman Jerandi. L’accordo prevede l’erogazione di risorse pari a 200 milioni di euro, volte a finanziare obbiettivi e settori strategici, quali la “cooperazione“, “combattere le cause dell’emigrazione” e il “consolidamento del processo democratico“.
La Tunisia, fatta eccezione per 3 milioni, gestisce direttamente la totalità di questi fondi. Come per il memorandum con la Libia, non è difficile immaginare come tali finanziamenti servano a rafforzare il controllo delle coste: le conseguenze, infatti, sono già evidenti.
Cosa ne è stato del diritto d’asilo?
Negli ultimi anni, infatti, il numero dei tunisini transitati nei CPR è continuato a salire, i rimpatri tramite voli charter sono cresciuti e le richieste di protezione internazionale hanno registrato un tasso di rigetto del 92%.
Secondo i dati forniti dai rapporti del Garante nazionale dei diritti delle persone private di libertà, i cittadini tunisini negli anni 2020 e 2021 hanno rappresentato la metà delle persone transitate nei CPR! Il tempo trascorso all’interno dei CPR dipende molto dall’organizzazione per il rimpatrio in Tunisia. L’accordo del 2021 ha però contribuito a velocizzare le procedure e i rimpatri possono ora avvenire nell’arco di pochi giorni dall’arrivo nel centro.
La detenzione nei CPR
Come ha rilevato un’indagine condotta da ASGI, i cittadini tunisini detenuti nei CPR subiscono una sistematica violazione dei propri diritti.
Spesso non sono a conoscenza del motivo della propria detenzione, non hanno modo di presentare un ricorso o mettersi in contatto con un avvocato, e ignorano il proprio status giuridico. Come già denunciato da diversi report, le persone rinchiuse nei CPR subiscono durissime condizioni di detenzione senza aver commesso nessun reato vero e proprio.
Come se non bastasse, si moltiplicano i casi di persone tunisine che si ritrovano in mano un decreto di respingimento, con l’obbligo di lasciare l’Italia entro sette giorni. Molti inoltre, appena sbarcati, firmano un foglio dove, a loro insaputa (per mancanza di traduzione), rinunciano a richiedere la protezione internazionale.
Sempre secondo i dati elaborati da ASGI, si rileva, pertanto, che circa il 70% dei tunisini, per mancanza di informativa o altri motivi ostativi, non presenta domanda di protezione internazionale. Quasi la totalità di chi, invece, riesce a presentare tale domanda, riceve un rigetto o un diniego per manifesta infondatezza. I tunisini vengono rapidamente liquidati come “migranti economici” e la valutazione delle loro richieste tende ad essere sbrigativa ed approssimativa. Possiamo senza esitazione affermare di trovarci di fronte ad una grave violazione del diritto d’asilo.
Record di rimpatri
Questo percorso tende inevitabilmente a concludersi con un rimpatrio forzato tramite voli charter. Grazie all’intenso lavoro di “collaborazione diplomatica” tra i due Paesi, i voli che ogni settimana riportano i tunisini sull’altra sponda del Mediterraneo sono aumentati.
Sebbene non siano ancora disponibili i dati scorporati del 2022, significativi sono quelli che il Garante nazionale ha presentato per gli anni 2020 e 2021. In questi anni, l’Italia ha con “successo” eseguito il rimpatrio rispettivamente di 1.922 e 1.872 cittadini tunisini. Questo numero corrisponde al 73,5% del totale dei rimpatri effettuati dal territorio nazionale.
Tunisia: paese terzo “sicuro”?
L’Italia continua in questo modo a negare il diritto d’asilo a centinaia di persone, rispedendole in un Paese rimasto sicuro solo sulla carta. La lista dei Paesi sicuri adottata nell’ottobre 2019 dall’allora ministro degli Esteri Luigi di Maio non è mai stata rettificata.
Da allora, la Tunisia, sotto la guida autoritaria di Kaïs Saïed, si è addentrata in un processo di involuzione democratica. Dopo aver sciolto il governo, congelato il parlamento e smantellato la magistratura, tale processo è culminato con il referendum del 25 luglio scorso.
La nuova Costituzione approvata contiene 46 emendamenti personalmente introdotti da Saïed. La Tunisia ha dato così vita ad un sistema iper-presidenzialista, in cui l’accentramento dei poteri ha segnato un ulteriore passo verso una possibile dittatura.
Considerando, inoltre, la profonda crisi economica che non accenna a diminuire, si comprende facilmente il motivo per cui sono sempre di più i giovani tunisini a cercare un futuro migliore al di là del mare.
Un futuro che viene loro negato da un’Italia che, invece di impegnarsi nel tutelare il diritto d’asilo, sta contribuendo ad eroderne le ormai fragili fondamenta.
Eva Moriconi