L’infertilità, una patologia che affligge sia il sistema riproduttivo maschile che quello femminile, sta assumendo nel corso degli anni un ruolo di priorità per la salute pubblica. Definita dal mancato raggiungimento di una gravidanza dopo 12 mesi o più di rapporti sessuali regolari non protetti, questa condizione non solo impedisce la realizzazione di un desiderio profondo, ma porta con sé un carico di disagio significativo, stigmatizzazione e difficoltà finanziarie. Inoltre, diverse evidenze scientifiche associano l’infertilità ad altre malattie ad insorgenza tardiva, in particolare il cancro, ma anche a una più breve aspettativa di vita ed effetti transgenerazionali che dovrebbero preoccupare non poco i “policy makers”.
Secondo l’ultimo rapporto dell’OMS, che riporta le stime della prevalenza globale e regionale dell’infertilità, circa il 17,5% della popolazione adulta (1 su 6 in tutto il mondo) soffre di questa patologia, con variazioni limitate tra le regioni. I tassi, infatti, risultano comparabili per i paesi ad alto, medio e basso reddito, indicando come questa rappresenti sempre di più una sfida sanitaria a livello globale.
Un campanello d’allarme da non ignorare
Negli ultimi anni, sempre più progetti di ricerca scientifica si stanno concentrando sul ruolo dei fattori ambientali nell’influenzare lo stato della salute riproduttiva della popolazione. Ogni organo del corpo umano, infatti, risente e porta traccia dell’esposizione a diversi tipi di inquinanti. In particolare, proprio l’apparato riproduttivo sembrerebbe essere il sistema organo-funzionale più sensibile a questo tipo di esposizione.
Negli ultimi 70 anni è stato documentato un drammatico calo della qualità seminale degli uomini non solo nei paesi occidentali ad alto reddito, ma anche in alcuni paesi ritenuti ad alta fecondità come Africa, Cina, Brasile e India, dimostrando come l’impatto delle attività umane sul pianeta stiano cominciando ad avere conseguenze gravi sullo stato di salute globale della popolazione che dipende sempre più dalla salute ambientale.
Il declino della conta spermatica a livello globale (stimata secondo una metanalisi del 2023 al 62.3%), dal 2000 al 2018 ha mostrato un’accelerazione significativa soprattutto in aree come il Sudamerica, Africa, Cina ed Iran che hanno subito un maggiore sfruttamento delle risorse ambientali, presentando tassi di inquinamento fra i più alti al mondo. Per questo motivo, recenti studi suggeriscono di usare il valore della qualità seminale come indicatore di salute sia ambientale che generale, una “sentinella della salute” che potrebbe aiutare ad aprire nuovi scenari per politiche pubbliche di monitoraggio, valutazione di impatto ambientale e prevenzione primaria.
In Italia, lo studio SENTIERI dell’ISS ha tracciato un bilancio sulla valutazione dei livelli di rischio di mortalità e morbilità per le popolazioni che vivono vicino a siti inquinati, riconoscendo come l’esposizione ad agenti ambientali svolga un ruolo negativo sulla salute pubblica creando delle vere e proprie disuguaglianze in termini di salute tra chi vive in territori meno nocivi e chi no, anche all’interno della stessa regione.
Il progetto EcoFood Fertility
In un Paese come l’Italia, in cui il dibattito sulla denatalità sembra concentrarsi solo su aspetti socio-economici e culturali, c’è chi prova a sottolineare l’importanza di non trascurare anche gli aspetti biologici. Recentissimi studi, come EcoFood Fertility, emergono come un campanello d’allarme, invitando a un’azione più incisiva e integrata, ponendo l’accento sull’attivazione di politiche di sorveglianza sanitaria, prevenzione e resilienza, che coinvolgano le istituzioni a più livelli, affrontando la questione dell’infertilità con una visione più ampia e inclusiva.
Il progetto di ricerca EcoFood Fertility è uno studio multicentrico di biomonitoraggio umano che ha evidenziato la sorprendente sensibilità del liquido seminale come indicatore precoce e affidabile di danno ambientale con potenzialità predittiva per patologie non solo riproduttive ma anche cronico-degenerative e malformative.
Nato in Campania per indagare l’interconnessione scientifica tra l’aumento dell’inquinamento nelle regioni settentrionali di Napoli e del basso casertano, noto come la Terra dei Fuochi, e l’incremento di malattie croniche e degenerative, ha esteso la sua ricerca anche ad altri territori italiani, tra cui Valle del Sacco, Taranto, Modena e Vicenza. Si basa su un approccio di biologia sistemica e ha come obiettivo primario lo studio di coorti di giovani maschi sani residenti in aree con differenti livelli di inquinamento ambientale.
Il progetto è stato concepito e coordinato dal dottor Luigi Montano, UroAndrologo dell’ASL Salerno ed ex presidente della Società Italiana della Riproduzione umana, che ha recentemente ricevuto per la seconda volta il prestigioso riconoscimento di “Paladino Italiano per la Salute” nell’evento dedicato ai ricercatori che si sono distinti per ricerche originali in campo biomedico. Il premio gli è stato conferito per gli studi effettuati negli ultimi due anni sulla presenza di microplastiche riscontrate per la prima volta nello sperma, nelle urine e anche nei fluidi follicolari di donne sottoposte a fecondazione assistita.
“Se già gli indici di contaminazione dei giovanissimi residenti nelle aree che abbiamo e stiamo ulteriormente biomonitorando, i parametri seminali e, soprattutto, le alterazioni biomolecolari riscontrate ci preoccupano non poco, la scoperta della presenza di microplastiche nel fluido seminale e quello follicolare che sono a diretto contatto con i gameti maschili e femminili rappresenta di per sé una minaccia significativa all’integrità del nostro patrimonio genetico e di certo questa non è una buona notizia per il futuro delle prossime generazioni”, ha dichiarato il dott. Montano commentando gli ultimi sviluppi della ricerca.
Infertilità in Italia
EcoFood Fertility ha svolto studi di comparazione fra giovanissimi sani tra i 18 e i 22 anni con stili di vita sani e indici di massa corporea omogenei in diverse aree territoriali anche della stessa regione, rilevando importanti problemi riproduttivi soprattutto per coloro che risiedono in aree a maggior tasso di inquinamento. Si tratta di una vera e propria disuguaglianza in termini di salute non solo riproduttiva ma anche per altri tipi di patologie che possono influire sulle aspettative di vita sana di una persona.
Il primo biomonitoraggio umano è stato realizzato nel 2015 in Campania, in particolare comparando i dati dell’Area Nord di Napoli e della Valle dell’Alto e Medio Sele nel Salernitano, in cui furono riscontrate differenze significative con più metalli pesanti nel sangue e soprattutto nel seme (almeno 26), con alterazioni dell’equilibrio delle difese antiossidanti e detossificanti nel liquido seminale e non nel sangue, e altri danni a carico del patrimonio genetico spermatico. Dati i risultati, la ricerca è stata estesa anche ad altre zone d’Italia come Brescia, Frosinone, Modena, Taranto.
A Brescia è stato riscontrato che i valori dell’arsenico superano la media riscontrata in giovani adulti dall’ISS, ed il fenomeno del bioaccumulo risultava più evidente nello sperma rispetto al sangue. In particolare, concentrazioni di arsenico, bario, piombo, litio e stagno sono risultate essere superiori nel seme da 2 a 10 volte. Si tratta per la maggior parte di metalli correlati all’inquinamento industriale, presente soprattutto nell’area Brescia-Caffaro e Valle del Sacco, ma anche utilizzati in agricoltura come pesticidi e erbicidi oppure, come il piombo, presenti nelle verdure coltivate nei pressi di discariche abusive, come riscontrato nel Casertano.
Negli ultimi dati presentati alla Camera dei Deputati il 10 aprile 2024, in quasi la metà dei casi (circa il 45%), l’apparato riproduttivo dei giovani maschi presi in esame non è in salute in quanto presenta almeno un parametro alterato nello spermiogramma. Ma ciò che preoccupa maggiormente i ricercatori sono le alterazioni biomolecolari degli spermatozoi, cioè anomalie dei sistemi genetici, epigenetici, proteomici e antiossidanti.
Per dimostrare come la salute riproduttiva maschile possa essere considerata una “sentinella” attendibile del danno ambientale ai sistemi biologici, i ricercatori hanno confrontato i dati ottenuti con quelli di giovani con le stesse caratteristiche ma che vivono in una zona in cui i tassi di inquinamento sono più bassi constatando delle alterazioni dei rischi riproduttivi meno significativi.
L’infertilità in Italia rappresenta un problema diffuso che riguarda una coppia fertile su cinque. Indagare l’impatto ambientale nel causare questo tipo di patologia significa puntare l’attenzione su ciò che mangiamo, beviamo e sull’aria che respiriamo, ma anche sulle possibilità di accesso alle cure per la fertilità e sulle pratiche di fecondazione assistita, che rimangono spesso sottofinanziate e inaccessibili a molti a causa di costi elevati, stigma sociale e disponibilità limitata.