L’imprenditoria di origini straniere è da tempo un dato strutturale del nostro sistema produttivo. Alla fine del 2022 le imprese con una prevalenza di soci e/o amministratori nati al di fuori dei confini nazionali sfioravano le 650mila unità, poco più del 10% dell’intera base imprenditoriale del paese.
L’imprenditoria di origini straniere
Per imprenditoria di origini straniere s’intende l’insieme delle imprese in cui la partecipazione di persone non nate in Italia risulta complessivamente superiore al 50%, mediando le composizioni di quote di partecipazione e cariche ricoperte.
Negli ultimi cinque anni, l’imprenditoria di origini straniere ha fatto segnare una crescita cumulata del 7,6% a fronte di un calo delle imprese di nostri connazionali del 2,3%. In termini assoluti, queste dinamiche non riescono a compensare la scomparsa di attività italiane: dal 2018 a oggi, le imprese di stranieri sono aumentate di 45.617 unità mentre le non straniere sono diminuite di 126.013 unità, cosicché il totale complessivo della base imprenditoriale del paese si è ridotto di 80.396 imprese. E’ quanto emerge dai dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio riferiti al periodo 2018-2022 elaborati da Unioncamere-InfoCamere sulla base di Movimprese, l’analisi statistica sull’andamento della demografia delle imprese italiane.
Guardando ai dati resi disponibili da un Osservatorio realizzato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Unioncamere – con il supporto di InfoCamere – risulta che le imprese straniere di origini extra europee siano il 79% delle imprese straniere totali in Italia. Ora, questi sono i dati registrati al 2022. Quello a cui possiamo auspicare è un miglioramento che possa incominciare già dal 2023.
Le linee del governo Meloni
Analizziamo, dunque, le linee che il governo ha scelto di seguire, in primo luogo, rispetto agli aiuti che intende offrire agli imprenditori. Per evitare, infatti, di continuare a registrare un calo nella demografia imprenditoriale è necessario il completo sostegno del governo, considerando che stiamo vivendo un delicato tempo storico che vede un’economia debole in seguito ai duri anni di pandemia, ai sempre più emergenziali problemi climatici e ai più recenti avvenimenti, quali la guerra in Ucraina e le conseguenze sui costi dell’energia. A questo proposito tra le dichiarazioni programmatiche del Governo Meloni annunciate alla Camera dei deputati, la Presidente del governo ha illustrato il nuovo patto fiscale che:
“poggerà su tre pilastri. Il primo: ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie attraverso una riforma all’insegna dell’equità; con la progressiva introduzione del quoziente familiare e con l’estensione della tassa piatta per le partite IVA dagli attuali 65 mila euro a 100 mila euro di fatturato. E, accanto a questa, l’introduzione della tassa piatta sull’incremento di reddito rispetto al massimo raggiunto nel triennio precedente: una misura virtuosa, con limitato impatto per le casse dello Stato, che può essere un forte incentivo alla crescita. Il secondo pilastro: una tregua fiscale per consentire a cittadini e imprese in difficoltà di regolarizzare la propria posizione con il fisco. E in ultimo, una serrata lotta all’evasione.”
In secondo luogo, sono da analizzare le linee del governo Meloni rispetto l’entrata, in Italia, di migranti extraeuropei che vorrebbero lavorare. In occasione del recente Consiglio dei ministri, tenutosi a Cutro, nel corso del suo discorso introduttivo, la Presidente del Consiglio ha annunciato il ripristino del decreto flussi. Decreto che consente l’ingresso in Italia, per lavorare, di migranti regolari. Decreto che, ricorda inoltre la Presidente, negli ultimi anni, era stato praticamente azzerato, essendo tutte le quote di immigrazione coperte da chi entrava illegalmente. Il decreto è stato ripristinato a livello triennale, “viene cioè data una proiezione che riguarda anche la richiesta che arriva dal mondo produttivo per alcuni settori nei quali serve manodopera. Prevede delle corsie preferenziali per quegli stranieri che in patria hanno fatto dei corsi di formazione, riconosciuti dal Governo italiano, e che quindi hanno migliori possibilità di sbocco anche professionale – per avere una manodopera qualificata – e per consentire alle persone che vengono a vivere da noi di avere una vita dignitosa”, ha dichiarato Meloni.
Ci auguriamo con un po’ di scetticismo che questo decreto possa davvero influire sulla debole economia italiana. Ci auguriamo possa rendere sempre meno rari casi come quello di Elisa Neri, una giovane imprenditrice, che nella piccola realtà di Torino, due anni fa, aprendo il suo ristorante di specialità orientali, ha deciso di scommettere su due giovani filippini, Marlon Bundoc e Tonio Salang, entrambi con anni di professionalità alle spalle, rendendoli soci e mettendoli alla guida delle sue cucine. L’imprenditrice ha scelto di affrontare un lunghissimo percorso burocratico, dispendioso a livello economico e mentale per riuscire a farli arrivare in Italia. Il suo caso rimane assai raro proprio per le difficoltà date dall’assenza di visti a disposizione.
Quello che possiamo sperare per il 2023 e per gli anni futuri, è che i giovani imprenditori come Elisa possano trovare una strada favorevole per i loro progetti e la loro voglia di fare. L’imprenditoria di origini straniere è una fortunata risorsa che la politica deve curare e sfruttare nel migliore dei modi per una crescita all’insegna della collaborazione. Dovremo aspettare la fine di questo primo anno di governo per individuare i nuovi dati riguardanti la demografia imprenditoriale ma, considerando il motto del governo: “non disturbare che vuole fare”, c’è solo da essere ottimisti.