L’impatto della startup Arctic Ice

Bere sulla crisi ambientale

L'impatto della startup Arctic Ice incide sul benessere dell'ecosistema artico

Dal ghiaccio al deserto

Nel 2022 la start-up Arctic Ice di Malik Rasmussen ha iniziato il suo progetto di spedizione del ghiaccio raccolto dai ghiacciai nei fiordi della Groenlandia. I principali clienti sono gli esclusivi locali degli Emirati Arabi. Ovviamente un progetto così ambizioso ha forti ripercussioni sul contesto in cui opera e – malgrado le dichiarazioni di Malik Rasmussen – occorre analizzare l’impatto della startup Arctic Ice su più livelli.

In primo luogo, si deve tenere conto della lunghissima tratta compiuta dalla merce. Il ghiaccio artico, prelevato in Groenlandia e stoccato nella capitale Nuuk, viene trasportato innanzitutto nel porto di Aarhus, in Danimarca. Da qui, dovrà raggiungere le coste Arabe a Dubai. Come fatto notare dal The Guardian, ciò implica un tasso di inquinamento elevato a causa del carburante disperso in acqua dalle navi che devono circumnavigare l’intero continente europeo, attraversare il Mar Mediterraneo, superare lo stretto del Gibuti e infine attraccare a Dubai nel Mare Arabico.

Di fronte a queste evidenze, Malik Rasmussen ha sostenuto l’impegno della compagnia nel suo obiettivo di diventare carbon neutral, e allo stesso tempo ha messo le mani avanti promettendo di compensare attraverso tecnologie innovative per lo stoccaggio di anidride carbonica.

Pertanto, si è ancora ben lontani dal ridurre a zero l’impatto della startup Arctic Ice. Tutto ciò che ha fatto è una serie di promesse. Promesse che, tuttavia, non hanno mai contribuito a risolvere la crisi ambientale a cui assistiamo quotidianamente, mentre le condizioni di chi ne fa le spese peggiorano di giorno in giorno.


L’impatto della startup Arctic Ice sulla popolazione locale

Un altro aspetto da considerare per valutare l’impatto della startup Arctic Ice riguarda gli interessi della popolazione locale. L’economia della Groenlandia non consente al Paese una piena autosufficienza, e spesso deve appoggiarsi alla Danimarca. In un altro articolo si è parlato del colonialismo silenzioso da parte del Paese europeo, dunque è intuibile che tale dipendenza rappresenti un pericolo per la tutela della cultura indigena.

Malik Rasmussen ha affermato che la sua compagnia apporterebbe numerosi benefici in tal senso. Ma in che modo? Infatti, l’ecosistema artico è molto fragile e lo scioglimento dei ghiacci ha avuto forti ripercussioni sulla fauna locale, riducendo le possibilità di sopravvivenza di foche e orsi. Di conseguenza, anche la caccia –  fondamentale per le comunità indigene – è diventata sempre più difficile da praticare. L’attività della start-up non farà che aggravare le condizioni degli animali locali.

Inoltre, questo ha portato gli abitanti a cercare impieghi in supermercati o negozi, dando un forte impulso all’espansione del settore terziario. Molte botteghe si sono rapidamente trasformate in negozi di souvenir kitsch, minacciando sempre di più lo stile di vita e la cultura delle comunità autoctone.

L’offerta di un lavoro come “cercatore di ghiaccio” non rappresenta in alcun modo una soluzione per gli abitanti indigeni, tutt’altro, ne mina l’identità culturale. Infatti, i popoli circumpolari hanno un forte interesse nel preservare il loro legame con la natura, oggi a rischio a causa delle conseguenze incrociate di cambiamento climatico e espansione dei mercati.

Il diritto sulle terre che abitano implica anche il diritto a tutelare le loro tradizioni, prossime al perdersi tra le erose calotte delle coste artiche, soffocate dal rumore incessante delle imbarcazioni che frantumano i ghiacciai in cerca di ghiaccio per dei cocktail.

La risposta di Malik Rasmussen

Di fronte all’evidente impatto della startup Arctic Ice e alle polemiche scatenate sui social, Malik Rasmussen ha risposto affermando «Aiutare la Groenlandia nella sua transizione verde è in realtà ciò per cui credo di essere stato portato al mondo». È ormai noto come il greenwashing costituisca il perno delle strategie di comunicazione delle grandi aziende, e anche in questo caso qualche dubbio sulle parole dell’imprenditore è più che lecito.

Infatti come può la transizione verde essere il suo obiettivo, se la Groenlandia incide in maniera insignificante sul tasso di emissione di CO2 globale? Come riportato da un grafico de Il Sole nel 2021, è vero che le emissioni pro capite (quindi le emissioni di ogni cittadino) della Groenlandia sono relativamente elevate, ma si deve considerare che la popolazione è di soli 57.000 abitanti. Quindi, il rapporto cambia significativamente quando si osserva il tasso di emissione totale, dove la Groenlandia è inferiore addirittura a Paesi come la Guyana francese.

Peraltro, risulta difficile comprendere come la transizione verde della Groenlandia passi dalle esportazioni di ghiaccio artico nei locali di lusso degli Emirati Arabi Uniti. L’impatto della startup Arctic Ice in Groenlandia rappresenta costituisce una minaccia sia a livello ambientale che culturale per il benessere del territorio. Nessuna finta retorica altruistica può nascondere i reali interessi egoistici che guidano il progetto, che intende favorire il profitto economico personale a discapito del benessere comune.

Alessandro Chiri

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