L’idrogeno verde quale ultimo tassello della transizione energetica

L’idrogeno verde per l’Ue è un vettore energetico strategico, al fine di combattere la crisi climatica e rilanciare la competitività e l’economia.

idrogeno verde
L’idrogeno è strategico per i trasporti

Il commissario europeo all’energia Kadri Simson afferma che il Green Deal è vitale per la competitività, non solo per il clima. L’ex ministro estone agli Affari Economici è commissario europeo all’energia dal 2019. Ed è stata incaricata di stabilire le tappe che accompagneranno l’Europa verso la neutralità climatica entro il 2050. Dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030, quale obiettivo a medio termine, dismettere il carbone per la produzione energetica – la Germania con i paesi dell’Est Europa sono i principali contributori netti di emissioni inquinanti derivanti da questo combustibile fossile – e rafforzare il mix energetico, con vasti investimenti sulle fonti rinnovabili.

“Il Green Deal è anche la nostra strategia di crescita”,

dichiara Kadri Simson in una intervista al Financial Times. Il 19 per cento dell’energia prodotta in Europa deriva ancora dal carbone e dalla lignite – una tipologia di carbone di qualità inferiore, maggiormente diffusa in natura, a basso costo ma in assoluto la fonte fossile più inquinante –. È la percentuale più bassa mai registrata.

L’Ue punta sull’idrogeno anche per dire addio al carbone

Il carbone è stato strategico per lo sviluppo del vecchio continente durante tutto il 19esimo secolo, e lo è stato in anni più recenti per i paesi baltici e dell’Est dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Simson è in prima linea affinché l’Europa possa centrare l’obiettivo della neutralità climatica, non solo per l’incarico che le è stato affidato, ma anche perché proviene da un paese che finora ha sempre fondato la propria crescita economica sul petrolio, una variante autoctona nota come petrolio di scisto (in inglese, shale oil). Il 70 per cento dell’energia prodotta in Estonia dipende da questa fonte fossile.




Anche la Polonia, sesta economia europea, soddisfa ancora per il 40 per cento del fabbisogno energetico bruciando carbone. Ma il paese sta attraversando profondi mutamenti sociali, economici e politici. La maggior parte delle miniere di carbone sono nelle mani dello Stato. Ciononostante, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha deciso di avviarne lo smantellamento, ristorando i minatori con sussidi pubblici. La Polonia è stato uno dei paesi più scettici ad accettare l’obiettivo del taglio del 55 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2030. Soprattutto a causa della forte dipendenza dal carbone.

Con la pandemia l’Ue ha accelerato sull’idrogeno

Bruxelles infatti ha deciso di stanziare un pacchetto di sussidi e incentivi per aiutare i paesi più scettici sulla transizione ecologica ed energetica per complessivi 1,8 miliardi di euro. A cui si aggiungono oltre 17 miliardi del Just Transition Fund con cui l’Ue intende supportare il processo di green economy dei paesi più poveri dell’Europa e maggiormente dipendenti dalle fonti fossili. Come parte degli obiettivi climatici, l’Unione europea vuole aumentare di 40GW la capacità dell’idrogeno “verde”, prodotto senza combustibili fossili, entro il 2030. Afferma il commissario europeo Kadri Simson:

“Grazie alla strategia sull’idrogeno “verde” vogliamo ridurre i costi di produzione e spingere quindi verso la produzione da fonti di energia rinnovabili”.

Le piattaforme offshore possono essere riconvertite per la produzione di idrogeno “blu”, ottenuto dal reforming del gas metano con la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica

Nel programma trentennale, Hydrogen Strategy, la commissione europea ha aumentato dal due al 13-14 per cento il peso dell’idrogeno tra le fonti energetiche pulite. Per raggiungere il taglio delle emissioni del 55 per cento entro il 2030, l’Europa punta sull’idrogeno “blu” ricavato dal gas metano attraverso la tecnologia della Carbon capture and storage (Ccs) per la cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica. Già ampiamente utilizzata in settori in cui il taglio della CO2 non sarebbe altrimenti possibile (agricoltura, industria pesante).

L’Italia e lo sviluppo della tecnologia e dei sistemi a idrogeno

Il nostro Paese ha inserito nel piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) lo sviluppo della tecnologia e dei sistemi a idrogeno. Il governo italiano vuole farlo utilizzando una parte delle risorse del recovery fund; dei 200 miliardi di cui potrebbe beneficiare, il 37 per cento dovrà essere utilizzato per progetti “green”. Ma prima della pandemia l’Italia aveva inserito l’idrogeno nella strategia nazionale per l’energia e il clima. Il nostro paese ha il vantaggio di essere stato il primo in Europa a raggiungere gli obiettivi fissati dalla direttiva 2009 sulla promozione e l’uso delle fonti rinnovabili. Forte soprattutto sul solare, l’Italia può aspirare a diventare un hub strategico nel Mediterraneo per la produzione e lo stoccaggio dell’idrogeno.

Idrogeno “verde” o idrogeno “blu”?

L’idrogeno “verde”, prodotto con la scissione dell’acqua tramite elettrolizzatori alimentati da rinnovabili, ha ancora dei costi di produzione elevati. Nel frattempo, le multinazionali dell’energia non intendono rimanere indietro nella corsa verso la transizione energetica.

Stando ai dati dell’Agenzia internazionale per l’Energia (Iea), entro il 2040 non solo si ridurranno i consumi di gas metano, anche a causa dell’aumento delle temperature, ma i prezzi del petrolio e del carbone triplicheranno. I sistemi economici potrebbero non reggere un tale shock.

Così le aziende italiane del settore – Eni, Snam – giocano la loro partita sull’idrogeno. Nel breve periodo puntano, grazie alla sinergia pubblico-privato, a portare avanti i progetti per la produzione dell’idrogeno “blu”. Sfruttando i giacimenti di gas metano e riconvertendo i giacimenti esauriti per la cattura dell’anidride carbonica e le strutture esistenti, gasdotti e piattaforme offshore. I costi di produzione restano contenuti rispetto a quelli dell’idrogeno “verde”.

L’idrogeno è un vettore energetico. Non si trova libero in natura, ma va prodotto. Di certo è una risorsa energetica inesauribile. Nel 2020 solo lo 0,1 per cento del fabbisogno energetico globale dipende dall’idrogeno “verde”, il 99,6 per cento invece dall’idrogeno “grigio”, ottenuto dal petrolio, dal reforming del gas metano (senza cattura della CO2), dal carbone mediante gassificazione e infine dalle biomasse.

Secondo gli analisti della Wood Mackenzie, entro il 2040 produrre idrogeno “grigio” e “blu” diventerà costoso. L’Iea prevede invece una riduzione del 30 per cento dei costi di produzione dell’idrogeno “verde” già entro il 2030, grazie all’incremento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili.

Il commissario europeo Simson:

“Mi aspetto che entro cinque anni ci saranno tantissimi paesi nel mondo pronti a seguirci”.

L’idrogeno come scialuppa di salvataggio, l’Italia rallenta sulla decarbonizzazione

Ma c’è una cattiva notizia. A dirlo l’Italy Climate Report 2020, che dovrebbe aiutare il paese a orientare i finanziamenti per la ripresa. L’Italia ha registrato un -27 per cento di gas serra tra il 2005 e il 2014, mentre tra il 2014 e il 2019 ha raggiunto uno scarsissimo 1,6 per cento di riduzione delle emissioni.

Dal 2014 al 2018 la green economy è cresciuta meno del sette per cento rispetto alla media europea. In base al rapporto, l’Italia deve portare il settore energetico a soddisfare il 67 per cento del fabbisogno nazionale da fonti rinnovabili. Nella generazione di calore e nel settore dei trasporti, invece, raggiungere  il 18 per cento e il 40 per cento.

Il nostro paese poi dovrà tagliare del 43 per cento i consumi energetici, e del 25-30 per cento le emissioni non energetiche derivanti dai processi industriali, dall’agricoltura e dalla gestione dei rifiuti per rispettare almeno l’obiettivo 2030 fissato dall’Ue.  Nel 2019, il nostro paese ha tagliato del 19 per cento i gas serra.

L’idrogeno potrebbe dare una spinta alla decarbonizzazione. Tutto dipende da come verrà giocata questa delicata partita. Dall’Italia e dall’Unione europea.

Chiara Colangelo 

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