L’eutanasia rischia la sua debacle e si teme la stessa fine che è toccata al ddl Zan. In aula la legge, che riguarda l’approvazione del suicidio assistito, prende uno scivolone e slitta ancora. Il primo rinvio è stato dal 25 ottobre al 22 novembre. Adesso si passa al 29 novembre. La destra e i cattolici alzano un muro.
Eutanasia sta per morte non dolorosa facilitata mediante l’uso di farmaci atti a porre fine alle sofferenze di un malato in agonia. L’interessato deve essere, ovviamente, consenziente e deve esprimere la propria volontà di morire. Lo può fare o nella forma dell’eutanasia volontaria (con esplicita richiesta o attraverso il testamento biologico) o nella forma del suicidio assistito (con l’aiuto medico e amministrativo). Questa estate l’associazione Coscioni ha promosso a riguardo, in tantissime piazze italiane, una raccolta firme per un referendum raccogliendone 1 milione e 240 mila. L’eutanasia è uno di quegli argomenti che divide l’Italia in due. Se la raccolta firme ha sviluppato un consenso così elevato non è giusto che questa legge meriti una sua discussione approfondita senza cedere a semplici ed ovvie speculazioni morali o di parte?
Per qualche medico “togliere la vita ad un essere umano” (esercitando l’eutanasia o l’aborto) è contrario allo stesso giuramento di Ippocrate che lo rende tale (ovvero medico). Mentre per i pro “dolce morte” non si tratta di altro che riconoscere il primo diritto umano, scegliere. Insomma «Non so cosa farei ma vorrei essere libero di decidere». È d’altronde vero che frequentemente esistono casi di malati terminali che si suicidano nelle condizioni più disparate. La malattia fa parte – per quanto triste sia – della vita. Per alcuni bisogna rassegnarsi e resistere, per altri bisogna avere la totale libertà di prendere l’estrema decisione.
Fino a quando è “moralmente” giusto chiedere di soffrire? Come si può giudicare una sofferenza?
La risposta a queste due domande potrebbe in parte sciogliere il difficile groviglio che il tema eutanasia porta con se. Come sempre trovare una risposta unica e condivisa non è forse possibile se si tratta di decisioni altamente personali e che riguardano individui che vivono condizioni differenti. La discussione ha, però, bisogno di una risposta.
La politica ha una pesante responsabilità in quanto argomenti come questi non riescono, come dovrebbero, a superare il “fazionismo” che porta i progressisti ad essere favorevoli ed i più conservatori ad essere contrari. Per questo l’idea del referendum può risultare la scelta più oggettiva e ragionevole in quanto permette di prendere una decisione senza affidarla unicamente ad un parlamento eletto, che ha i suoi schieramenti composti per altri motivi, e che si potrebbe esprimere non nel merito della questione ma per seguire il proprio partito. Il paese ha diritto di scegliere…almeno Lui.