L’educationism è una forma di discriminazione che spesso viene contrastata con atteggiamenti di pregiudizio nei confronti della cultura.
L’educationism è una forma di classismo che si basa sul pregiudizio discriminatorio che le persone meno istruite siano individualmente responsabili della loro situazione culturale. La parola è stata coniata nel 2018 in un rapporto del Journal of Experimental Social Psychology e ancora non sembra avere una traduzione specifica in lingua italiana. Questo fenomeno nasconde dinamiche psico-sociali legate alla disuguaglianza e si confronta con reazioni avverse che, in realtà, ne perpetuano le dinamiche.
Il circolo virtuoso tra capitale economico e capitale culturale
L’impatto dell’istruzione sulla posizione sociale è stato in genere poco studiato. Da Max Weber in poi, l’accento sui fattori utili a definire le classi sociali si è spostato dalla sola posizione economica all’ordine gerarchico dettato dal prestigio della posizione sociale.
Su questa linea, Pierre Bourdieu analizza la disuguaglianza sociale in relazione al capitale culturale. Quest’ultimo viene distinto in tre tipologie: incorporato, ossia sviluppato a partire dall’insieme dei saperi, delle competenze e delle capacità di espressione ereditate dagli habitus famigliari e dalla classe sociale; istituzionalizzato, ovvero acquisito dai titoli di studio; oggettivato, ossia risultante dai beni di cultura posseduti. Secondo il sociologo, la cultura è uno dei principali meccanismi di riproduzione delle strutture di classe. Infatti, migliori possibilità economiche consentono di accedere con maggiore facilità al capitale culturale, a reinvestirlo in capitale economico e a mantenere in solido il circolo virtuoso del prestigio.
Questi assunti si dispiegano in maniera opposta sugli appartenenti a classi meno abbienti, mostrandosi nel modo in cui l’orientamento socio-economico si riflette sugli atteggiamenti e sui comportamenti nei confronti del mondo sociale. Secondo alcuni studi, le persone provenienti da classi subalterne, abituate a disponibilità economiche minori e a contesti caratterizzati da incertezza e imprevedibilità, hanno la tendenza a sviluppare sensazioni di dipendenza dal contesto nell’interpretazione delle proprie possibilità. Queste percezioni si esprimono nell’impressione di avere minor controllo sulla propria esistenza e in forma di scelte mirate molto più al presente che al futuro. Diversamente, le persone provenienti da classi favorite si sentono in genere più libere di perseguire i propri obiettivi indipendentemente dal contesto. Quest’ultimo tipo di atteggiamento può risultare particolarmente utile nell’ottica di investire in capitale culturale, mentre la tendenza a focalizzarsi sui bisogni presenti può risultare significativamente controproducente.
L’impatto della meritocrazia culturale sull’educationism
Secondo Chiara Volpato, la radicazione della retorica meritocratica nella cultura ha un certo impatto sulle tendenze comportamentali dettate dalle disuguaglianze economico-sociali. Nel presupporre l’uguaglianza delle opportunità, le istituzioni educative passano il messaggio che la riuscita scolastica rifletta unicamente il merito individuale. Tuttavia, è indubbio che possedere maggiori disponibilità economiche e culturali di partenza renda il processo di acculturazione più immediato.
Un esempio è il modo in cui la predominanza in termini di capitale culturale si ripercuote sui vissuti dei “first-generation”, ossia gli studenti che per primi nelle loro famiglie si iscrivono all’università. Alcuni studi evidenziano come tra questi studenti lo stress psicologico sia maggiore rispetto a quelli che partono da un capitale culturale incorporato migliore, proprio a causa della necessità di adeguarsi a determinati standard. Secondo Chiara Volpato, questa impostazione di pensiero prende corpo dalla stessa ideologia neoliberista che vige nel mercato del lavoro. Facendo l’esempio dell’Università degli studi Milano-Bicocca, allocata oggi in un’ex zona industriale, la studiosa afferma:
non riesco a cancellare dalla mente il sospetto che si sia voluta trasmettere l’idea che il sapere è fatica, serve esclusivamente alla formazione professionale, deve dare gli strumenti per diventare imprenditori di se stessi in senso neoliberista e bandire invece l’idea che possa costituire una gioia e insieme una critica all’esistente e un tentativo di non riproduzione dell’ordine costituito.
Il fenomeno dell’educationism rende evidente questa impostazione di pensiero in quanto investe direttamente le persone della responsabilità della loro situazione culturale. Secondo l’autrice, questo atteggiamento preserva la disuguaglianza strutturale, impedendo di entrare in contatto con persone provenienti da contesti diversi e amplificando il divario e i pregiudizi.
L’affermazione della responsabilità unicamente individuale nel successo o nell’insuccesso della situazione culturale del singolo dà forma a fenomeni che sembrano scontrarsi con l’educationism. Si tratta di quei pregiudizi che vedono necessariamente forme di arroganza tra le persone che investono negli studi, in particolare nei confronti di chi si occupa di discipline manistiche. Si potrebbe in un certo senso chiamare “stereotipo della cultura” e tipicamente si esprime in atteggiamenti di svalutazione della cultura e della sua utilità.
Lo “stereotipo della cultura” contro l’educationism: una forma di pregiudizio ambivalente?
Secondo la psicologia sociale, le persone tendono a provare sensazioni spiacevoli nelle situazioni che evidenziano un contrasto di convinzioni tra il loro gruppo di riferimento e un gruppo estraneo. Il disagio si riflette nel dare priorità a credenze positive o negative e a cambiare così comportamento in base alla situazione. Si tratta di una forma di pregiudizio ambivalente dettato dal tentativo di ridurre le sensazioni spiacevoli. Secondo alcuni studi, questa dissonanza emotiva deriva dalla contrapposizione tra virtù umanitarie e tendenze individualistiche.
Un esempio è la teoria del sessismo ambivalente di Susan Fiske. In particolare la psicologa ne ritrova le dinamiche specifiche in quel paternalismo protettivo basato sulla credenza che gli uomini abbiano il compito di proteggere le donne o provvedere al loro benessere. Condiviso spesso anche dal sesso opposto, si tratta di un atteggiamento che all’apparenza sembra contrapporsi al paternalismo dominante per cui è giusto che gli uomini abbiano più potere rispetto alle donne. Spesso sembra addirittura essere usato a questo fine. Tuttavia, le convinzioni su cui questa credenza è fondata ripropongono l’inferiorità femminile, pur esprimendosi in atteggiamenti apparentemente positivi.
A primo acchito lo stereotipo della cultura potrebbe sembrare un atteggiamento di rivolta nei confronti della discriminazione promulgata dall’educationism. Infatti, riconoscere la discriminazione e svalutarla nel suo elemento chiave, ossia la cultura, potrebbe sembrare un modo corretto di combattere il fenomeno e screditare così anche le disuguaglianze economico-sociali. Tuttavia, questo atteggiamento prende in realtà corpo dalla stessa base. Come per il caso del pregiudizio ambivalente, ne ripropone le stesse dinamiche attraverso una reazione contraria: l’indebolimento dell’unico strumento che potrebbe scardinarlo, ossia la cultura.
La risposta sta nel migliorare l’istruzione per tutte le persone
Molti studi che si occupano dei possibili modi di ridurre le disuguaglianze pongono l‘accento sulla necessità di aumentare e migliorare l’istruzione per tutte le persone. Infatti, solo attraverso la consapevolezza è possibile comprendere le radici e le motivazioni insite alle dinamiche che alimentano le differenze nella disponibilità e nella fruibilità della cultura. Solo in questo modo è possibile agire sui pregiudizi che alimentano fenomeni come l’educationism, scardinarne le fondamenta e, magari, porre le basi per ridurre davvero le disuguaglianze culturali.