Come disse Newton, l’uomo per andare avanti deve sempre lasciare qualcosa alle sue spalle, ma l’azienda multinazionale Eni non è disposta a farlo, anzi procede a passo di gambero. In sostanza, torna indietro sui suoi antichi ma stabili passi non accogliendo il futuro green nel suo settore.
Le recenti dichiarazioni dell’amministratore delegato Descalzi
Venerdì scorso, l’amministratore delegato Descalzi ha annunciato il piano strategico aziendale dell’azienda multinazionale Eni per il periodo 2024-2027: sarà aumentata la produzione di energia da combustibili fossili, soprattutto petrolio e gas, del 3-4% ogni anno. La percentuale aumenterà sempre di più perché “riteniamo che la transizione energetica possa essere realizzabile se genera ritorni adeguati e sostenibili, e pone le basi per nuove e profittevoli forme di business”, come ha riferito Descalzi. Ancora una volta il cambiamento in favore della salvaguardia dell’ambiente è guidato dalla logica del guadagno.
Il punto di vista dell’azienda multinazionale Eni
Effettivamente è vero: chi investe su aziende con obiettivi basati su fonti rinnovabili deve avere una buona dose di fiducia in sé stesso, verso la società su cui investe e nel futuro perché, malgrado gli sforzi fatti, il settore dell’energia rinnovabile non è ancora forte quanto quello dell’avversario fossile e non rinnovabile. Tuttavia l’affermazione dell’amministratore delegato Descalzi equivale al dire che “se non lo fa lui, allora non lo faccio neanche io”, come se si stia aspettando la prima vittima della “trappola green” per proporre qualcosa di meglio ragionando sugli errori degli altri oppure seguendo la scia del successo di qualche visionario ottimista.
Fa ancora più sorridere il fatto che l’azienda multinazionale Eni ha comunque confermato il raggiungimento degli obiettivi di taglio delle emissioni di gas serra. Malgrado il passo indietro, arriverà ad avere zero emissioni entro il 2050 in armonia con le richieste dello “European Green Deal”. La domanda è abbastanza scontata: come è possibile raggiungere la quota zero di emissioni durante la filiera produttiva se le materie prime scelte per produrre la maggior parte dell’energia continuano ad essere quelle tra le più impattanti della superficie terrestre?
D’altronde è anche comprensibile il punto di vista dell’amministratore delegato Descalzi: gli investitori preferiscono comprare azioni di società stabili e con un sicuro piano strategico per il futuro.
Inoltre, la guerra in Ucraina ha rimesso al centro del tavolo la questione dell’indipendenza energetica. Si cerca di essere sempre più indipendenti da Russia ed Ucraina per quel che riguarda l’importazione dei combustibili fossili per la produzione di energia perché la loro fornitura dall’estero è diventata costosa ed incerta. Non si può più riflettere solo sulla lavorazione della materia prima: bisogna trovare dei giacimenti in nuovi territori.
Tuttavia queste sono posizioni che possono assumere delle società private (per quanto siano opinabili): più di un quarto dei Eni è ancora gestito dallo Stato italiano, lo stesso che intende rispettare; almeno sulla carta, gli obiettivi dello “European Green Deal”. Quale messaggio arriva da tali scelte? Un cittadino qualunque penserebbe che lo Stato stia lentamente cambiando le carte in tavola in modo più o meno visibile agli occhi dell’Unione Europea.
L’azienda multinazionale Eni e Greenpeace: quando il manifesto diventa ancora più evidente
Per l’azienda multinazionale Eni, la seconda opinione, spesso se contraria, non è ben accetta: secondo la multinazionale, il report “Emissioni di oggi, morti di domani. Come le principali compagnie petrolifere e del gas europee mettono a rischio le nostre vite” di Greenpeace pubblicato a dicembre 2023 intaccherebbe la reputazione della società. Il report ribadisce non solo che i dati sulle emissioni dell’azienda multinazionale Eni rendono chiaro il fatto che l’azienda non rispetterà gli obiettivi climatici, ma ha anche evidenziato che con la sua strategia, solo nel 2022 potrebbe avere avuto un impatto tale da causare 27 mila morti premature a lungo termine (fino al 2100).
In merito a questi dati e a queste prevedibili conseguenze, Eni ha minacciato Greenpeace sulla possibilità di una causa per diffamazione, solo perché è stato reso più evidente quel che un addetto ai lavori ha già visto da tempo.
La multinazionale dell’energia è davanti ad un bivio: si lascerà intimidire dall’opinione pubblica e non cambierà direzione oppure accetterà suggerimenti su come cambiare il suo piano strategico e puntare veramente ad un futuro sempre più green?