L’astronoma Giovanna Rinaldi scrive a Mattarella e Zangrillo: “7 anni per arrivare su Giove e 14 per uscire dal precariato. Salari bassi: quanto resisterò?”
Ha lavorato come ricercatrice precaria al servizio dello Stato per 14 anni prima di essere assunta a tempo indeterminato. L’astronoma Giovanna Rinaldi ha recentemente riacceso i riflettori sulla difficile situazione dei ricercatori pubblici in Italia e sulle disuguaglianze retributive che affliggono la professione. Dopo anni di impegno e sacrifici, la ricercatrice ha condiviso la sua esperienza in una lettera aperta al Ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo il 1° giugno. La lettera è stata pubblicata dal Quirinale dopo che il Presidente Mattarella ha parlato della fuga dei cervelli.
Il progetto Juice, una delle principali missioni dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), di cui la ricercatrice fa parte, raggiungerà le lune di Giove tra sette anni. È esattamente la metà del tempo che Giovanna Rinaldi ha trascorso da precaria.
Al centro della sua lettera aperta c’è la disparità di retribuzione dei ricercatori italiani rispetto ai loro colleghi all’estero. Rinaldi ha scoperto che i ricercatori italiani sono pagati molto meno pur svolgendo lo stesso lavoro di tutti gli altri scienziati di diversa nazionalità che partecipano agli stessi progetti internazionali. Secondo uno studio dell’Università della California, Berkeley, Giovanna Rinaldi viene pagata un terzo in meno rispetto ai colleghi francesi, la metà rispetto ai colleghi tedeschi e il 70% in meno rispetto ai colleghi inglesi.
La ricercatrice richiama l’attenzione del Ministro Zangrillo e del Presidente Mattarella sulla raccomandazione europea che invita a considerare l’intera carriera dei ricercatori, indipendentemente dai contratti precari o dal Paese in cui lavorano e sottolinea l’importanza di garantire salari equi a tutti i ricercatori pubblici. Solo se queste condizioni saranno soddisfatte si potrà fermare la fuga dei cervelli, e non solo nella ricerca.
L’astronoma Giovanna Rinaldi fa parte dell’USB (Unione Sindacale di Base), un sindacato che si occupa di difendere i diritti dei dipendenti pubblici, compresi i ricercatori. Grazie a questo impegno è da tempo portavoce di tutti i ricercatori pubblici in Italia. Il suo appello al Ministro Zangrillo e al Presidente Mattarella chiede un’attenzione immediata al divario retributivo e al miglioramento del lavoro dei ricercatori italiani.
Questa la sua lettera integrale:
Caro Ministro Zangrillo, mi chiamo Giovanna e sono una ricercatrice. L’ambiente della ricerca è molto friendly e tra di noi ci chiamiamo per nome, quindi da questo momento in poi mi rivolgerò a te con Caro Paolo.
Caro Paolo, Sono laureata in Astronomia, ho un dottorato e da 20 anni lavoro in INAF, l’istituto nazionale di Astrofisica. INAF è un ente di ricerca riconosciuto a livello internazionale per l’elevato livello scientifico e tecnologico che porta avanti da decenni. Grazie all’ambiente di alto profilo scientifico e ai progetti internazionali in cui è coinvolto, sono stata invitata, come ricercatrice italiana, a collaborare con ricercatori appartenenti alle maggiori università ed Enti di ricerca in giro per il mondo. Mi sono confrontata con diverse culture, modi di lavorare e di pensare. Un confronto, con la diversità, che è diventato ricchezza lavorativa e personale.
Insomma… viaggio, mi confronto con l’internazionalità, lavoro nell’ambito delle missioni spaziali e studio oggetti che sono al di là della nostra atmosfera e che non sono sempre visibili dall’occhio umano.
Caro Paolo, il lavoro che faccio è figo anzi …. Strafigo !
Quella tipologia di lavoro che piace tanto a te !
Tu hai detto che i giovani cercano il lavoro figo e sarebbero interessati alla retribuzione.
Allora analizziamo questa retribuzione… Collaboro quotidianamente con ricercatori tedeschi, inglesi, francesi, americani, taiwanesi e Giapponesi. Facciamo lo stesso lavoro con competenze diverse. Abbiamo bisogno gli uni degli altri per portare avanti i progetti in cui siamo coinvolti. Facciamo un lavoro alla pari ma i nostri salari non sono alla pari, nemmeno considerando il diverso costo della vita nei paesi dove lavoriamo. Il mio salario è ridotto di un terzo rispetto a quello del mio collega francese, è la metà di quello tedesco e il 70 % inferiore rispetto a quello del ricercatore inglese. Sono dati di una ricerca fatta dall’università della California a Berkley confrontando i salari dei ricercatori europei durante la loro carriera. Il divario diminuisce progredendo con gli anni lavorativi ma negli ultimi 20 anni la carriera è stata preclusa a molti e soprattutto a noi donne.
A peggiorare la situazione concorre il fatto che a noi ricercatori non vengono riconosciuti, a livello stipendiale, gli anni di precariato se fatti con contratti atipici. Quando sono stata assunta, ho percepito lo stipendio del neoassunto senza tener conto che avevo già fatto 14 anni di ricerca e precariato. 14 anni di esperienza e competenza che porto quotidianamente nel mio lavoro e contribuiscono a rendere la mia ricerca migliore per il benessere di tutta la comunità e quindi anche del vostro… caro Governo e caro Paolo.
Il tutto all’interno in un contesto italiano dove, negli ultimi 30 anni, il potere di acquisto dei nostri salari è diminuito di circa il 3 % a fronte di salari europei che hanno visto aumentare il loro potere di acquisto dal 20 al 40 %.
Tutto ciò, nonostante ci sia una raccomandazione europea, firmata da tutti gli stati membri, riguardante la Carta europea dei ricercatori e il codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori in cui si raccomanda di considerare tutta la carriera del ricercatore a prescindere dai contratti avuti, dal paese e dall’ente/università dove si è lavorato, perché, ribadisce la raccomandazione, ‘’L’esistenza di prospettive di carriera migliori e più visibili contribuisce anche allo sviluppo di un atteggiamento positivo del pubblico nei confronti della professione di ricercatore, spingendo con ciò più giovani ad abbracciare una carriera nel settore della ricerca.’’
Una mia amica e collega, che fa lo stesso mio lavoro strafigo, ha vissuto e lavorato per molti anni in Germania, era un cervello in fuga, categoria spesso di cui tanto si parla. Lei ha scelto di tornare nel suo paese dove è nata e cresciuta e dove ha i suoi affetti. Ha due figli a cui vorrebbe far conoscere il suo paese. Quando è tornata ha preso servizio all’INAF come TD e mi ha chiesto quale sarebbe stato il suo stipendio netto al mese e quando l’ha saputo le sono venuti i brividi e mi ha detto: ‘’ come faccio a pagare l’affitto e crescere due figli? In Germania prendevo piu del doppio ed ero tranquilla’’. Io non sapevo che dire.
Morale della favola, non pensate né ai cervelli che rimangono e nemmeno a quelli in fuga che vorrebbero tornare!
Ah no ! Avete pensato di aumentare lo stipendio del 30 % a quei ricercatori che vincono i bandi competitivi Europei, i così detti ERC. Volete premiare singole eccellenze italiane ed estere che vogliono venire o tornare in Italia. Come se la premiazione di poco meno di un centinaio di ricercatori possa voler dire aver aumentato lo stipendio e valorizzato il personale di ricerca in Italia. Follia!
A questo proposito torno alla mia collega e amica che è coinvolta nella missione spaziale JUICE. JUICE è un satellite dell’Agenzia spaziale europea che andrà a visitare Giove e i suoi satelliti ghiacciati, Europa Ganimede e Callisto. E’ stato lanciato un mese fa dalla Guinea francese e arriverà a destinazione tra 7 anni. Potrebbe darci informazioni su come si può formare la vita nel nostro sistema solare o se c’è un altro modo di formare la vita. Il satellite JUICE ha a bordo 10 strumenti di cui quattro sono italiani. Il 40% della strumentazione a bordo di questa missione spaziale è italiana. Strumenti e idee italiane che hanno passato una selezione in cui hanno partecipato le maggiori agenzie, enti e università internazionali. Questo vuol dire che la scienza e la tecnologia spaziale in Italia stanno molto bene e sono una eccellenza per il nostro paese.
Una vittoria italiana grazie al lavoro di 4 team che hanno messo assieme le loro diverse competenze per raggiunge un obiettivo. Questo, come tantissimi altri esempi nella ricerca, è la prova che l’eccellenza non è una cosa individuale, ma è una cosa collettiva. L’ eccellenza è collettiva perché attinge alle molteplici diversità/diverse competenze che insieme creano un’idea nuova e vincente. All’interno delle molteplici competenze esiste il ricercatore più talentuoso e che vince il Nobel ma la sua Eccellenza, perché emerga, ha bisogno di altri colleghi che con il loro lavoro lo aiutano a portare avanti la sua idea, se no quella idea, da sola, muore.
Premiare con un aumento salariale solo un centinaio di individui (forse!) è sbagliato. Vuol dire non aver capito cos’è la ricerca e come si fa.
Ogni mia pubblicazione è un atto collettivo. Ho potuto pubblicare grazie al lavoro di molti, al confronto continuo con i miei colleghi.
Il tuo compito caro Paolo, il compito di un Governo e di uno Stato è avere una visione a lungo termine che scaturisca dal capire cos’è la ricerca e cosa ne fa eccellenza. E’ la valorizzazione di tutto il personale della ricerca pubblica e della ricerca stessa aumentando i finanziamenti pubblici, garantendo il diritto allo studio, all’abitazione, favorendo le assunzioni e le carriere di tutto il personale.
Questo fa la differenza tra un paese civile e uno che non lo è.
Perché avere una ricerca eccellente fa il bene del nostro paese e aumenta il suo benessere.