Andrea Umbrello
Direttore Editoriale di Ultima Voce
Nonostante le crescenti tensioni internazionali e le richieste di una revisione della politica di assistenza militare a Israele, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ribadito che l’assistenza militare al paese non ha limiti. La CNN rivela che il governo degli Stati Uniti ha recentemente autorizzato il trasferimento di oltre 1.000 bombe MK82 e 1.000 bombe di piccolo diametro in Israele. Questa decisione è giunta poco prima che il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite adottasse una risoluzione per chiedere il divieto di tutte le vendite di armi a Israele a causa delle sue azioni nella guerra in corso a Gaza.
Fonti attualmente anonime, hanno rivelato alla CNN che in settimana, il governo degli Stati Uniti ha dato autorizzazione per il trasferimento di oltre 1.000 bombe MK82 e 1.000 bombe di piccolo diametro in Israele.
La notizia si è diffusa proprio poco prima che il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite adottasse una risoluzione senza precedenti. La risoluzione chiede di vietare tutte le vendite di armi a Israele, in risposta alla sua condotta nella guerra in corso a Gaza. Il voto ha visto una netta divisione tra gli Stati membri: 28 paesi hanno votato a favore, mentre 6 si sono opposti e 13 si sono astenuti.
È la prima volta che il massimo organismo delle Nazioni Unite per i diritti umani prende una posizione così decisa su quella che è rappresenta la guerra più sanguinosa mai affrontata nel territorio palestinese. Con un bilancio di oltre 33.000 morti, secondo il conteggio di Hamas, questa risoluzione è stata presentata dal Pakistan a nome di tutti gli Stati membri dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, ad eccezione dell’Albania.
Prima del voto, è emersa una dissonanza tra i Paesi europei, infatti, Germania e Bulgaria hanno dichiarato che avrebbero votato contro la risoluzione poiché non condanna esplicitamente Hamas. Inoltre, l’alleato chiave di Israele, gli Stati Uniti, ha votato contro la risoluzione, insieme ad Argentina, Malawi e Paraguay.
Ritornando all’assistenza militare a Israele, emergono dettagli raccapriccianti. L’autorizzazione per il trasferimento dell’armamento è stata rilasciata il 1° aprile. Questo, coincide con un evento tragico che tutti ormai conoscono: poche ore prima, l’esercito israeliano ha bombardato tre volte consecutive un convoglio umanitario nella Striscia di Gaza, uccidendo sette operatori umanitari stranieri dell’organizzazione benefica World Central Kitchen.
L’indignazione globale è inevitabilmente esplosa dopo l’attacco che ha colpito il convoglio umanitario, ma questo tragico evento si registra in un contesto di devastazione senza precedenti iniziato già molto tempo prima, basti pensare che più di 190 operatori umanitari a Gaza e in Cisgiordania sono stati uccisi in quasi sei mesi di guerra, definita genocida da molti osservatori.
La tragedia non si ferma qui, i numeri parlano chiaro. Da ottobre, oltre 14.500 bambini e più di 9.000 donne sono stati vittime di violenze e massacri perpetrati dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Questo tributo di vite innocenti grida giustizia e richiede un’immediata azione internazionale per porre fine al massacro e garantire la sicurezza di coloro che sono più vulnerabili.
Per Biden l’assistenza militare a Israele non ha limiti
Nonostante le crescenti segnalazioni di “frustrazione” e “rabbia” all’interno della Casa Bianca per la brutalità degli attacchi a Gaza, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha emesso una dichiarazione che con chiarezza afferma che l’assistenza militare a Israele non ha limiti.
Questa posizione incide profondamente sul dibattito internazionale, poiché le voci che chiedono una revisione della politica di supporto militare a Israele diventano sempre più forti. Il presidente Biden ha scelto una linea dura, sollevando domande sull’imparzialità degli Stati Uniti nel conflitto e sulla loro responsabilità nel garantire una pace giusta e duratura nella regione.
Da aggiungere che, la settimana scorsa, la Casa Bianca ha dato il via libera alla vendita di 50 aerei da combattimento F-15 a Israele, in un accordo imponente che potrebbe valere più di 18 miliardi di dollari. Nonostante l’arrivo degli aerei da guerra sia previsto solo per il 2029, l’annuncio arriva in un momento di tensione crescente. Infatti, Tel Aviv ha visto un notevole aumento delle provocazioni contro l’Iran e ha minacciato di “espandere” la guerra contro il Libano. Per questo motivo, la strategia statunitense solleva interrogativi sulle implicazioni per la stabilità regionale.
La decisione di vendere armamenti avanzati in un momento così delicato suscita preoccupazioni su una potenziale escalation e sulla possibilità di un conflitto più ampio nel Medio Oriente.
Le armi sono la valuta con la quale si compra il terrore e si investe nel caos. In questo mercato senza scrupoli, ogni fucile venduto è un capitolo nero scritto sul libro dell’umanità. E di questo libro, gli Stati Uniti sono autori di molti capitoli. Da sottolineare, infatti, che tutto ciò non rappresenta nulla di nuovo per Washington. Sin dal 7 ottobre, gli Stati Uniti hanno continuato ad effettuare più di 100 vendite di prodotti militari stranieri ad Israele senza l’approvazione del Congresso.
Non c’è solo l’assistenza militare a Israele, il governo degli Stati Uniti è intervenuto attivamente per difendere Tel Aviv dalle accuse di genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ). Questo, insieme al taglio dei fondi all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA) in risposta ad una campagna diffamatoria israeliana, evidenzia un sostegno incondizionato ad Israele.
Tra Israele e Stati Uniti, il denaro continua a scorrere liberamente proprio come il sangue delle vittime palestinesi, trasformate in pedoni sacrificabili sullo scacchiere della geopolitica e dei mercati internazionali.