Kipling e Il fardello dell’uomo bianco: una poesia spesso fraintesa

fardello dell'uomo bianco

Nel 1899 Rudyard Kipling pubblicava uno dei suoi scritti più famosi, “The White Man’s Burden, Il fardello dell’uomo bianco”. La poesia, spesso usata dai colonialisti come pretesto per giustificare le loro spedizioni, in realtà era stata composta con un’accezione diversa, poi travisata nel corso degli anni.

Rudyard Kipling

Rudyard Kipling nasce nel 1865 a Bombay, oggi Mumbai, in India, a quei tempi sotto il dominio dell’Impero Britannico. I genitori, originari dello Staffordshire, lo inviarono all’età di 6 anni nella madre patria per fargli frequentare le scuole primarie; sempre in Inghilterra terminò gli studi, prima di tornare in India, nel 1882. Viaggiò a lungo attraverso l’Asia e gli altri possedimenti britannici, visitò gli Stati Uniti d’America e infine decise di stabilirsi a Londra, dove iniziò a pubblicare i suoi diari di viaggio che riscossero immediatamente successo. Da questo momento prese avvio la sua carriera di scrittore, pubblicando nel 1894 “Il libro della giungla” e nel 1897 Capitani coraggiosi; recatosi poi diverse volte in Africa compose alcune poesie tra cui la famosa “Il fardello dell’uomo bianco”, rimasto colpito dalla condizione in cui gran parte della popolazione versava. Le sue molte opere, tutte eccezionalmente ben scritte, gli valgono nel 1907 il “premio Nobel per la letteratura”, vinto  per Il libro della giungla a soli 41 anni, il più giovane di sempre. Il premio gli venne conferito con la seguente motivazione:

«In considerazione del potere dell’osservazione, dell’originalità dell’immaginazione, la forza delle idee ed il notevole talento per la narrazione che caratterizzano le creazioni di questo autore famoso nel mondo.»

Fervente nazionalista, durante la Prima Guerra Mondiale svolse l’incarico di corrispondente di guerra, spaziando dal fronte occidentale a quello italiano, arruolandosi anche come autista sulle ambulanze. Kipling morì al suo tavolo di lavoro nel 1936 per un’ulcera duodenale perforata, a settant’anni, poco dopo una falsa notizia della sua morte riguardo alla quale aveva commentato: “Ho appena appreso di essere morto dal vostro giornale: non dimenticate di cancellarmi dalla vostra lista di abbonati.” Il suo corpo venne cremato e le ceneri sono custodite presso l’abbazia di Westminster, a Londra.

Il fardello dell’uomo bianco

Questa poesia, scritta nel 1899, è stata molte volte al centro dell’attenzione. Vista molto spesso come una giustificazione della causa colonialista e imperialista, in realtà era stata composta con un’idea diversa. Kipling, sicuramente nazionalista e figlio del suo tempo,  era concorde con gli uomini della sua epoca nell’affermare che il cosiddetto “uomo bianco” avesse una qualche superiorità rispetto agli abitanti dell’Africa: di conseguenza l’uomo europeo, “superiore“, doveva recarsi nella sua patria per aiutarlo ad evolversi, a “civilizzarsi“. Kipling con i suoi versi non intendeva infatti promuovere una qualsiasi forma di conflitto etnico verso i colonizzati, ma cercava di incitare “l’uomo bianco” a perseguire il fine della civilizzazione di quel mondo “barbaro e arretrato” che aveva riscontrato nei suoi viaggi in Africa, anche senza avere nulla in cambio.

Il fardello dell’uomo bianco non va infatti inteso, almeno nella testa di Kipling, come al peso opprimente che l’uomo europeo esercita sui colonizzati, ma va inteso come il compito morale che spetta ai colonizzatori di dover civilizzare  le popolazioni arretrate anche a costo della vita. Il concetto viene espresso chiaramente da questi versi:

Raccogli il fardello dell’Uomo Bianco,
Resistere con pazienza,
Celare la minaccia del terrore
E frenare l’esibizione dell’orgoglio;
In parole semplici e chiare,
Cento volte rese evidenti,
Cercare l’altrui vantaggio,
E produrre l’altrui guadagno.

L’uomo europeo non deve secondo Kipling colonizzare i territori “barbari” per instillarci la vita occidentale perché sono inferiori, ma deve farlo perché ha il dovere morale di far progredire anche quelle popolazioni che sono in qualche modo rimaste indietro. Non si deve colonizzare per trarne profitto, ma per “l’altrui vantaggio e l’altrui guadagno”, anche rischiando di ricevere in cambio odio e disprezzo da parte di coloro che vengono aiutati, nella poesia definito il “biasimo di coloro che fai progredire“.

La visione di Kipling non è quindi quella di una giustificazione al massacro indiscriminato e alla colonizzazione forzata, come invece è stata interpretata dagli imperialisti, ma di una sorta di “razzismo benevolo“, comunque scientificamente errato, volto alla diffusione della società europea senza ottenere nulla in cambio, anzi rischiando anche la vita. A dimostrazione di quanto detto, lo scrittore dice chiaramente che il colonizzatore deve perseguire:

Non sgargiante governo di re,
Ma fatica di servo e di spazzino

Non colonizzare per governare, ma faticare per costruire una società migliore per quelle popolazioni da lui, erroneamente, considerate “inferiori”.

Marco Andreoli

 

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