Mentre i media occidentali sono allineati alla propaganda israeliana fondata su una narrazione che giustifica la legittimità della guerra difensiva, sui social network le clip girate con gli smartphone da mani traballanti raccontano senza filtri una realtà ben diversa. Il documentario Kill zone inside Gaza, si prefissa di riunire in un unico quadro, sistematico e coerente, i filmati ripresi da dodici giornalisti palestinesi.
La cruda realtà di Gaza senza filtri
Gli orrori di Gaza possono essere riassunti nell’immagine straziante del padre che rivolge alla telecamera il corpicino del proprio bambino esanime e senza testa.
Il film-documentario Kill zone inside Gaza trasmesso nel Regno Unito su Canale 4, mostra senza filtri e attraverso lo sguardo disperato delle vittime la devastazione della guerra condotta da Israele contro un popolo inerme, bambini e donne in particolare.
A Gaza nessuno è al sicuro, nemmeno nelle zone dove l’IDF ordina di evacuare né tantomeno nelle scuole delle Nazioni Unite, la morte può irrompere in qualsiasi istante e in qualsiasi luogo. Riunendo in un unico arco narrativo i filmati girati da dodici giornalisti palestinesi, Kill zone inside Gaza mette a nudo su uno sfondo sistematico e coerente l’orrore dei bombardamenti in aree densamente abitate, le stragi di massa dei civili e le distorsioni della propaganda israeliana.
Il sacrificio dei giornalisti palestinesi
Impedire l’accesso a Gaza ai giornalisti internazionali è una delle strategie attraverso cui Israele può manovrare la narrazione del conflitto inquadrandolo come una “guerra in nome della difesa dello stato d’Israele” e cancellare i termini “genocidio” e “pulizia etnica” dalla memoria storica.
I giornalisti palestinesi con il loro slancio di coraggio lottano quotidianamente contro lo spettro della morte per mettere a nudo gli intenti genocidari dei sionisti, i loro occhi attraverso le videocamere catturano le prove dei crimini contro l’umanità che talvolta vediamo consumarsi in diretta e che vanno a costituire importanti elementi da consegnare alla Corte penale internazionale e alla Corte internazionale di giustizia.
Come possiamo vedere in Kill zone inside Gaza i giornalisti oltre a documentare la tragica storia della loro terra, ne diventano parte integrante con il sacrificio delle loro stesse vite o di quelle dei loro cari.
Hind Khoudary e Ali Jadallah
In Kill zone inside Gaza conosciamo la vicenda dei due reporter Hind Khoudary e Ali Jadallah, mentre documentano davanti alla telecamera la carneficina a cui stanno assistendo, lottano per trattenere le lacrime e rimanere razionali in uno scenario apocalittico e tutt’altro che razionale, straziato dalla presenza di corpi mutilati e insanguinati. La forza d’animo di Khoudari però cede e le lacrime iniziano a rigare il suo volto quando vede una bambina gravemente ferita che stringe il suo orsacchiotto adagiata su una barella e portata di corsa in ospedale.
Kill zone inside Gaza ci mostra il momento in cui il giornalista sveste i panni di professionista dell’informazione per rivelarsi nella sua fragilità di essere umano.
La guerra irrompe nelle esistenze di Khoudari e Jadallah in due differenti momenti: dopo aver appreso del martirio del loro coraggioso collega e amico Montaser Al-Sawaf e quando il padre di Jadallah rimane ucciso nel bombardamento della sua casa.
Le sorelline Badwan
L’arco narrativo di Kill zone inside Gaza si concentra sull’esperienza della famiglia Badwan originaria di Deir al-Balah. Le sorelline Lama e Sama con i loro completini abbinati diventano il simbolo del trauma che sta segnando un’intera generazione privata della spensieratezza dell’infanzia.
Davanti alla telecamera con la rassegnazione tipica dei bambini che non sono ancora in grado di elaborare gli eventi che vivono, confidano:
“I nostri amici sono morti, i nostri vicini sono morti. Molte persone che amiamo sono morte. Mi mancano i miei compagni di scuola, il preside e l’insegnante. Non so niente di loro adesso.”
L’intervista viene interrotta bruscamente dal rumore sordo dei bombardamenti, le piccole in un gesto istintivo si tappano le orecchie con le dita, l’inquietudine incupisce i loro teneri volti.
In Kill zone inside Gaza, filmati cruenti fanno da sfondo alla drammatica storia della famiglia Badwan: bombe che cadono, volti insanguinati, quartieri distrutti, ospedali colmi di bambini terrorizzati e donne.
La tragedia dei piccoli orfani
Recentemente l’ONU ha manifestato l’intenzione di inserire Israele nella lista nera dei paesi che nei conflitti armati danneggiano i bambini. Proprio al dramma dei bambini Kill zone inside Gaza dedica ampio spazio. Un soccorritore intervistato riferisce che nei crolli degli edifici i bambini sopravvivono perché con i loro piccoli corpi possono restare negli spazi vuoti tra le macerie. Sopravvivono ma in molti casi subiscono amputazioni e ferite impossibili da rimarginare, non solo fisiche ma soprattutto psicologiche. I letti dei pochi ospedali rimasti sono pieni di piccoli orfani, di loro non si sa nulla e non possono raccontare niente di sé perché non parlano più, i medici identificano queste piccole vittime innocenti del genocidio nella categoria WCNS ovvero “bambini feriti, senza famiglia sopravvissuta”.
Nel documentario Kill zone inside Gaza il bambino affidato alle cure dello zio Ibrahim, dopo aver perso tutta la sua famiglia e le gambe in diversi attacchi, è il simbolo dei tanti orfani di questa devastante guerra, le cui esistenze sono appese al filo dell’incertezza.
I palestinesi protagonisti della loro storia in Kill zone inside Gaza
Nel film-documentario Kill zone inside Gaza il popolo palestinese non viene mostrato come vittima passiva della guerra condotta da Israele, i filmati strazianti riuniti in una cornice narrativa sistematica e coerente, non hanno la funzione di suscitare pietà per le sofferenze inflitte alle vittime ma mirano a fornire una rappresentazione dignitosa dei palestinesi come protagonisti della propria storia, dando voce alle loro rivendicazioni di libertà dalla violenza brutale dei sionisti, dall’occupazione e dall’apartheid, e allo stesso tempo, documentando e denunciando i crimini contro l’umanità commessi dall’esercito sionista, si intende rendere Israele responsabile dei piani genocidari contro i civili inermi.
Se la verità è la prima vittima in ogni guerra, le testimonianze raccolte in Kill zone inside Gaza sono antidoti contro l’oblio e le mistificazioni della propaganda israeliana, ma anche le prove con cui replicare a chi non crede alle atrocità, le nega oppure vuole far finta di non vedere.
La verità è la prima vittima in ogni guerra
Riecheggiano i ricordi di Primo Levi quando raccontava che le SS si divertivano a tormentare i prigionieri ebrei ripetendo:
“In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra
contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se
anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà”.
Il realismo disarmante di Kill zone inside Gaza è la verità da opporre all’ipocrisia dei media occidentali che abbracciano la versione del più forte, la risposta a chi giustifica attacchi mirati contro ambulanze, ospedali o corridoi umanitari con la presenza di combattenti di Hamas, a chi definisce “tragico errore” l’ennesima strage di massa, a chi ancora si ostina a credere alla menzogna della “guerra difensiva” non solo dell’integrità dello stato d’Israele ma anche della cosiddetta civiltà occidentale dalla minaccia di popoli selvaggi e quindi “meno umani”.