Il rapporto tra Kierkegaard e la comunicazione non è tra i più conosciuti. Per questo non dobbiamo lasciarci sfuggire il suo insegnamento.
La filosofia di Kierkegaard non sempre gode di un primato nei programmi scolastici. Almeno non come altre figure del calibro di Hegel o Kant. Eppure quella del filosofo è una riflessione che ha ancora molto da dirci. In particolare risulta interessante leggere con gli occhi dell’uomo del XXI secolo alcuni spunti di Kierkegaard sulla comunicazione.
Scritti diretti ed indiretti:
Gli scritti kierkegaardiani si possono distinguere in due tipologie: scritti diretti ed indiretti. I primi, di carattere religioso sono firmati dall’autore. I secondi, più di carattere filosofico, sono firmati attraverso l’uso di pseudonimi.
Perché questa scelta?
Pseudonimia o polionimia?
La pseudonimia presente negli scritti indiretti è probabilmente più una polionimia. Questo perché ogni diversa firma che Kierkegaard utilizza è una maschera. Ma non una maschera per nascondersi e nemmeno per poter affermare pensieri non suoi. Tutt’altro.
Kierkegaard con ciò non vuole nascondersi, ma vuole svelare ogni possibilità di se stesso. Possibilità che, in quanto tali, non rappresentano tutto se stesso. Ecco il motivo di queste firme che come sigilli indicano una delle tante maschere dell’autore.
Possibilità che certo sottende, tramite le maschere, la non scelta tra esse. Nomi che non sono scelti a caso, ma che hanno qualche legame con lo scritto che sigillano. Egli scrive a tal proposito:
“Io sono infatti impersonalmente o personalmente in terza persona un suggeritore che ha prodotto poeticamente degli autori”
Ecco allora che più che pseudonimia si può parlare di polionimia: Kierkegaard ha moltiplicato se stesso e non nascosto se stesso per raggiungere l’unica vera comunicazione: quella d’esistenza.
Kierkegaard e la falsa comunicazione:
Ma cosa significa comunicare? Il filosofo danese critica la comunicazione del suo tempo. Essa non è una comunicazione d’esistenza ma una falsa comunicazione che tende a svalutare completamente il rapporto tra chi comunica e chi riceverà quella comunicazione.
Facciamo perciò attenzione a questo passaggio: non è il cosa che viene comunicato ad essere fasullo. É il come.
Polionimia sì, anonimato mai:
È infatti di anonimato ciò di cui Kierkegaard accusa la comunicazione moderna. I giornalisti, i filosofi, chiunque scriva ad un pubblico tende ad essere anonimo. Nonostante la firma in calce allo scritto sia proprio la sua.
C’è quindi una bella differenza tra firmare i propri scritti con nomi diversi, indicanti diverse possibilità di se stessi e firmare con il proprio nome uno scritto che, in realtà, di noi non contiene nulla.
É questo quindi il grande errore e la grande falsità della comunicazione moderna. Ma cosa dovrebbe essere comunicare?
Essere ciò che si dice.
O in altre parole essere un pensatore esistente, tanto da attuare una comunicazione che porti il ricevente all’azione e non alla passività di fronte a ciò che legge.
Il pubblico:
Se la comunicazione è anonima, anonimo sarà anche il pubblico che la riceverà. Non più un ricevente vivo e attivo. Ma un pubblico astratto, inesistente, impersonale.
Ecco che la comunicazione cessa di essere un dialogo tra esistenze per divenire vuoto passaggio di informazioni tra soggetti anonimi.
Cosa può quindi dirci Kierkegaard oggi?
Molto. L’epoca attuale presenta una comunicazione di massa ormai incontrollata ed incontrollabile.
I mezzi di comunicazione velocizzano sempre di più la condivisioni di pensieri, idee, punti di vista. Ma ciò che scriviamo, postiamo, condividiamo, siamo davvero noi? O almeno una possibilità di noi?
“la maggior parte degli uomini non ha paura di avere un’opinione errata, bensì di averne una da soli”.
Non stupiamoci dell’attualità di questa sua espressione. Quando un’analisi sull’uomo è profonda, essa sarà valida in ogni tempo.
Cosa muove quindi l’odierna frenetica ricerca della condivisione attraverso un clic? Forse un non sentirsi soli nel proprio pensiero. Pensiero che non vale più per ciò che contiene ma per come viene condiviso.
Kierkegaard e la comunicazione generalizzata:
Più comunicazione significa maggiore circolazione della verità? Per Kierkegaard no. Anzi, è lui stesso ad affermare che:
“più cresce la comunicazione, più tremenda diventa la confusione”
Nella generalizzazione della comunicazione, nella sua impaziente circolazione non si moltiplica la conoscenza, ma la confusione. Scompiglio che porta il singolo allo smarrimento.
Nulla di più attuale. Nulla di più urgente.
Comunicare, oggi:
Ecco allora che le miriadi di informazioni che colpiscono la nostra attenzione quotidianamente non sono indice di maggiore conoscenza. Proprio nel momento della decisione pandemica la confusione di cui parla Kierkegaard si è resa palese davanti agli occhi di ognuno di noi.
Oggi comunicare dovrebbe significare responsabilità. Tanto di chi parla, quanto di chi ascolta. Responsabilità e limpidità verso se stessi e gli altri.
Comunicare per divenire se stessi. Per far sì che il nostro pensiero coincida veramente con chi siamo. Altrimenti, all’aumentare della condivisione non farà altro che corrispondere l’impoverimento delle relazioni.