Jeanne Josquin Grégoire, in arte Kenne Grégoire, pittore olandese, ci ricorda una piccola e banale verità: ciò che ci circonda, nella quotidianità, ha un pezzo di noi e che sono gli oggetti quotidiani che ci fanno sentire a casa.
Kenne Grégoire (13-12-51, Teteringen, Olanda) ha vinto il Prix De Rome d’argento nel 1973, ha avuto numerosi riconoscimenti lungo tutta la sua carriera e ancora oggi continua a riscuotere un certo successo in Europa.
La sua pittura è ricca di ritratti e paesaggi, ma ciò che esplorerete oggi sono le sue nature morte: tavolate ricche di oggetti si stagliano sulla tela con una cura del dettaglio, della luce e del colore impressionante.
Alcune di queste dalla prospettiva un po’ bizzarra -sembra che il punto di fuga sia orizzontale ma poi cambia in verticale, come di un’immagine in movimento che dal frontale passa all’alto-, ritraggono colazioni, pranzi e cene in cui è possibile intuire e dedurre chi abbia partecipato alla mensa.
Ci sono banchetti imbastiti riccamente, con tutte le stoviglie e portate di ogni tipo; altri invece più miseri e basilari, pasti frugali con cui sopravvivere. Sono tavole ordinate, altre scomposte; alcune con più ospiti, altre in solitaria sebbene, in nessun caso, si vede chi sia il commensale.
Ed eccola, la familiarità. L’atto di soffermarsi su oggetti del genere, ritraendoli in diversi momenti, con diverse pietanze e oggetti sempre in ordine differente da quadro a quadro, porta a riflettere su quanto anche una banalità come una tavola apparecchiata per mangiare possa rappresentarci.
Attraverso la descrizione minuziosa dei dettagli, si può comprendere se quella sia una felice famiglia ricca in procinto di deliziarsi il palato o una più povera, che deve stringere i denti e accontentarsi; intuiamo se è un’allegra coppia alla prima cena galante oppure un uomo o una donna solitaria, in compagnia solo dei propri pensieri.
A parte certi quadri dalla prospettiva doppia, come già scritto, la maggior parte sembrano fotografie dall’alto, per dare pieno spazio alla visione sola della tavola. Una tavolata, niente di più.
Kenne Grégoire dipinge ciò che, a pensarci su, per noi è un rituale importante e non ce ne ricordiamo sempre, forse perché i tempi cambiano, si vive -e si mangia- sempre di fretta e il momento per sedersi tutti insieme non c’è più, eppure una semplice composizione di natura morta del genere può toccare le corde di quella che potremmo chiamare senza troppi fronzoli “malinconia“.
Banchetti durante la colazione, con una luce chiara o banchetti la sera, con luce di lampadina; composizioni ben ordinate, che sanno di momento prima della consumazione e tovaglie stropicciate, forchette alla rinfusa, bicchieri dentro i piatti che invece suggeriscono una festa appena conclusa.
È quello che lasciamo una volta consumato e quello che ci attende prima che lo consumiamo che fa di noi ciò che siamo. La familiarità di oggetti quotidiani che però delineano il nostro perimetro naturale, che danno un tono alla nostra personalità, al nostro vivere in comunità o in eremitaggio ma che, in ogni caso, ci aiuta a non sentirci persi; oggetti che basta guardare un secondo per farci pensare “sono a casa“.
Forse è solo questo quello che Kenne Grégoire fa: esalta la banalità. Ma lo fa con così tanta precisione, cura e delicatezza che ci sorprende e ci fa scoprire che sono proprio queste cose banali a darci volume e ci aiutano a riconoscere i nostri spazi.
Con Kenne Grégoire, d’ora in poi, sarà ancora più difficile -per coloro che davvero s’azzardano a farlo- sputare sul piatto in cui si mangia.
Al massimo, gli si fa un bel ritratto.
Gea Di Bella