I Kayan: minoranze etniche della Birmania

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I Kayan, chiamati anche Padaung, sono un’etnia della popolazione dei Karen, minoranza di origine tibeto-birmana. Vivono in una zona remota al confine con la Birmania, nel nord-ovest della Thailandia. Con esattezza, i villaggi di alcune delle tribù , sorgono nella provincia di Mae Hong Son, tra la vegetazione rigogliosa che costeggia il fiume Pai.

Non si tratta di un gruppo omogeneo, ma di un insieme di tribù, ognuna con delle proprie caratteristiche e una propria lingua. Comunemente conosciute come le tribù delle donne dal lungo collo o donne giraffa, per via degli anelli di ottone che le donne – appartenenti alla tribù – portano al collo sin da bambine. Padaung appunto, in lingua birmana, significa “lungo collo”.




I diversi gruppi presenti all’interno della minoranza sono: Kayan Lahwi (o Padaung), Kayan Ka Khaung (o Gekho). Kayan Lahta, Kayan Ka Ngan, Kayan Gebar, Kayan Kakhi e il popolo Bwe (o Kayaw). Il più famoso di questi gruppi è il Kayan Lahwi, appunto conosciuto in tutto il mondo per la loro tipica tradizione di allungare il collo con anelli di ottone. Antiche leggende riferiscono che i Karen giunsero in Birmania tantissimi anni fa dalla Cina.

Negli anni ’80, in seguito alla guerra scoppiata tra l’etnia Karen ed il regime militare birmano, i Kayan – originari della Birmania – lasciarono le proprie terre per rifugiarsi nella vicina Thailandia. Una decisione sofferta per un popolo la cui primaria fonte di sostentamento era la terra. Ciò fu la conseguenza dovuta alle violazioni dei diritti umani. Perpetrate – dal regime militare birmano – attraverso metodi quali il lavoro forzato, gli spostamenti obbligatori e la tortura.

I Karen, un grande gruppo etnico nel sud-est asiatico

 

Non migliore l’attuale condizione sul suolo thailandese. Infatti vivono una condizione di “semi prigionia”. Nomadi, privi di uno status legale e senza il diritto di poter lasciare i territori da loro assegnati dal governo thailandese. Non possono lavorare sul territorio thailandese, non possono dormire al di fuori delle proprie “riserve” e non possono ottenere la cittadinanza del Paese che li “ospita”. Una palese violazione dei diritti umani che meriterebbe l’attenzione non solo delle Organizzazioni umanitarie ma anche dei numerosi turisti che ogni anno visitano il Paese del sorriso.

Le loro abitazioni, solitamente localizzate lungo le sponde di fiumi, sono piccole e spesso composte da un’unica grande casa-lunga. Una costruzione stabile in legno e ferro. La società è caratterizzata da articolate forme di stratificazione sociale e rituale. Al vertice vi sono i capi (marens), mentre al fondo della gerarchia sociale vi è uno strato di schiavi (dipens). Tra questi due ceti, vi sono due strati di liberi coltivatori, gli hipuys e i panyins.

Cultura e usanze

La peculiarità di questa tribù è il lungo collo, un’antichissima pratica svolta dalle donne. Tale rituale prevede che alcune bambine, quelle nate in giorni particolarmente propizi di luna crescente, dall’età di cinque anni inizino ad indossare degli anelli di ottone, argento ed oro. Posti ad ornamento del collo, questi anelli, aumentano in numero e spessore via via con il passare degli anni. Tanto da determinare in età avanzata l’allungamento del collo che caratterizza la fisionomia delle donne.




In realtà si tratta di un allungamento del collo solo apparente. Infatti, sono le clavicole che, per effetto della continua pressione esercitata dai dischi di metallo, si abbassano e si schiacciano vistosamente. Determinando così un effetto ottico per cui sembra che tali donne abbiano un collo di lunghezza molto al di sopra della norma.

Per quanto riguarda l’origine di tale pratica sussistono differenti tesi. Alcuni ritengono che gli anelli non avrebbero altro fine che quello ornamentale e di distinzione rispetto alle donne di altre popolazioni della regione. Altri, invece, sostengono che tale usanza deriva da tradizioni religiose che legano queste popolazioni ai dragoni Naga. Altri ancora ritengono si tratterebbe addirittura di un sistema di difesa delle donne nei confronti degli attacchi delle tigri. Un tempo molto presente in questi territori.

Sebbene siano famosi per i loro anelli al collo, è solo un gruppo molto piccolo a mantenere questa pratica. E, nonostante ve ne siano ancora alcuni in Birmania, la pratica ha iniziato a perdere popolarità sotto il regime militare. L’uso di anelli non aveva alcun posto nella visione del governo di “un’identità culturale birmana condivisa”, cosicché la pratica fu messa al bando.

 

La religione tradizionale

La società kayana è matrilineare, e la loro religione tradizionale, chiamata Kan Khwan, si presume sia esistita nella sua forma attuale (più o meno) dall’età del bronzo. Essa sostiene che i Kayan siano frutto dell’una unione tra un drago femmina e un maschio umano/angelo ibrido. La loro principale festività religiosa è il Kay Htein Bo festival. Commemora la credenza secondo cui Dio creatore ha dato forma al mondo piantando un piccolo palo nel terreno.

Il festival si svolge tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, durante la quale i partecipanti danzano intorno ad un palo Kay Htoe Boe eretto. Oltre alla venerazione del Dio creatore.




Sebbene queste pratiche religiose esistano ancora oggi in alcuni villaggi Kayan, la maggioranza del popolo ora pratica il cattolicesimo romano, essendo stata convertita da missionari italiani nel 19 ° secolo. Secondo i dati statistici, pubblicati nel 2004, su 306 villaggi, 209 sono Cattolici, 19 Kan Khwan, 32 Battisti e 44 Buddisti, di cui 2 appartenenti alla organizzazione della società civile Byamaso.

 

Felicia Bruscino
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