L’intervista di Roberto Allegri a Katia Ricciarelli, donna forte, indipendente e timida insieme, alla ricerca della serenità.
di Roberto Allegri
Quando è in vena, Katia Ricciarelli racconta di se stessa con dolcezza e ironia. Ed è un piacere stare ad ascoltarla. Ha fama di avere un carattere difficile, di essere un po’ spigolosa ma <<in realtà sono timida>>, spiega. <<E allora metto in atto una forma di difesa che a volte viene scambiata per altezzosità. Sembro una donna austera ma non è così. Mi sento invece molto socievole e aperta verso gli altri. Qualcuno mi ha anche definita superba ma questo aggettivo mi fa ridere. Dopo quarantacinque anni di carriera, posso senza dubbio affermare di non essere mai stata superba neppure un istante. Però ho la coscienza di quello che valgo. E’ diverso. Se vengono contestate alcune mie doti che sono assolutamente evidenti, come la professionalità o la tenacia, allora mi arrabbio. In questo sì, sono severa.>>
Katia ha compiuto 70 anni lo scorso gennaio. Ma di certo non li dimostra. E’ bellissima ed elegante. Ha un modo di guardarti che in un primo momento ti intimorisce ma subito ti conquista. Mi sorride e dice: <<Allora vuoi che ti parli di me? E che ti posso raccontare che non sia già stato detto? Dalla vita ho avuto tutto. Posso affermare senza paura che ogni mio sogno si è avverato: ho avuto la voce, ho cantato in tutto il mondo, ho avuto amori travolgenti, ho fatto film, mi sono tolta tutti gli sfizi. Ma ho anche dato tanto. E ho sofferto molto, moltissimo, come le eroine dei melodrammi che ho interpretato.
<<Se non avessi fatto la cantante… beh, avrei fatto la cantante! Non c’è un altro modo per dirlo. Ho cominciato da bambina a desiderare di cantare e non ho mai voluto fare diversamente. A tredici anni, quando sono andata da quella che sarebbe diventata la mia maestra, Iris Adami Corradetti, a dirle che volevo studiare con lei, sapevo che sarei arrivata in fondo. Nient’altro mi ha fatto sognare se non la musica e il canto. Per anni tutto ha ruotato attorno a questi due perni. Ogni cosa che pensavo, ogni lettura, ogni interesse era finalizzato alla realizzazione del mio obiettivo. Ero curiosissima, volevo scoprire e sapere, volevo sempre fare più di ciò che mi dicevano al Conservatorio. Se un’opera che stavo studiando era stata tratta da un classico, ad esempio da Shakespeare, io andavo subito a leggere l’originale. E allora, per una ragazzina di diciassette o diciotto anni, leggere Shakespeare poteva essere un’impresa ma non mi facevo spaventare. Volevo conoscere. E frequentavo sempre persone che ne sapevano più di me per imparare. Ho iniziato la grande carriera subito, nel 1969, cioè l’anno del mio debutto. Non ho fatto la tradizionale gavetta ma immediatamente sono arrivate le incisioni, i dischi, i film, i grandi teatri e nel 1972, vincendo il concorso verdiano della RAI, c’è stata per me l’apertura dei teatri di tutto il mondo. Questo però è stato pagato con il sacrificare una vita privata, con il non avere avuto una famiglia, dei figli. Ma non ho rammarichi. Il passato serve per imparare non per trascinare rimpianti.
<<La mia infanzia non è stata felice>>, continua a raccontare Katia Ricciarelli. <<Sono cresciuta senza un padre. Molto del mio carattere forte e indipendente deriva proprio dal non avere avuto un papà o, peggio, dall’avere avuto un papà che non mi ha voluta. Mia mamma era una “ragazza madre” e allora avere un figlio al di fuori del matrimonio era una cosa che ti segnava. Tutti ci guardavano in un certo modo, era dato per scontato che fossimo “poco serie”. La mia cara mamma invece aveva dimostrato un coraggio enorme nel volermi tenere. Per farmi crescere lavorava giorno e notte, costretta ad accettare i lavori più umili, rifiutati dagli altri, perché lei da “ragazza madre” non poteva pretendere niente. Ma non si lamentava mai. Ed io vedendola, mi sentivo morire di dolore. Dovevo ricompensarla in qualche modo, dovevo riscattare la vita che facevamo. Così mi gettai anima e corpo nello studio del canto. Farla felice era il fuoco che mi alimentava.
<<E alla fine sono arrivata in cima. All’inizio mi sono sentita benissimo. Poi mi ha preso il panico perché mi sono resa conto che in realtà non avevo raggiunto nulla ma che da lì sarebbe cominciato lo studio vero e proprio, l’impegno quello serio. Mia madre mi diceva sempre: “Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala!”. Così, per pedalare, bisognava tirarsi su le maniche e mettersi a lavorare duro. Tutto quello che mi perdonavano quando ero “in formazione” ora non lo perdonava più nessuno. Una volta arrivata, mi hanno subito trattata da professionista e da professionista dovevo agire. Quando sei all’apice della carriera, deve mantenerlo. E quando poi cominci a scendere, devi stare attento a farlo in modo corretto, senza che si dica: “ma perché non ha smesso prima?”. Io ho avuto la fortuna, proprio perché sono sempre stata eclettica, di incontrare gente come Pupi Avati o Maurizio Costanzo che mi hanno dato la possibilità di fare il cinema e la televisione. Così ho potuto cambiare. Perché a fare sempre la stessa cosa, si arriva ad un punto in cui si diventa patetici.
<<Nella mia carriera ho lavorato con i più grandi. Sognavo di cantare in “Otello” con Del Monaco ed è accaduto, nel 1972. Sono stata la sua ultima Desdemona. Volevo lavorare con Zeffirelli e nel 1986 lui mi scelse per il film “Otello”, al fianco di Placido Domingo. Sognavo Karajan e nel 1969 a Berlino feci con lui un provino per “Tosca” al termine del quale disse davanti a tutti: “Sono quarant’anni che aspetto una Tosca così!”. In più, alla fine della mia carriera di cantante, Pupi Avati, regista che ho sempre amato, mi ha voluta per i suoi film. Cosa posso volere di più? Se volessi di più sarei un’ingrata nei confronti del Padreterno.
<<Come ti ho detto prima, dal passato si deve trarre insegnamento e non rammarico. Per questo posso guardare indietro e sentirmi serena. Ho scoperto che la felicità sta proprio nella serenità. Tante volte avevo pensato di essere felice ma non era così. Quando stavo con Josè Carreras, eravamo talmente innamorati che pensavo quella fosse la felicità. Ma non eravamo sereni. Lo stesso con Pippo Baudo. Siamo tutti talmente distratti dalla vita che spesso ci dimentichiamo cosa stiamo cercando, la felicità. E che questa consiste proprio nell’essere sereni, nella semplicità, nel raccoglimento, anche solo nel guardare il sole tramontare sul lago. La felicità può arrivare e andarsene subito, può essere effimera, momentanea, istantanea. La serenità invece ti permette di avere calma, di ponderare, di rinunciare a correre.
<<E ho scoperto anche che mi piace raccontare. Ho vissuto tante esperienze e penso sia giusto condividerle. Forse qualcuno può trovarci un consiglio o un’ispirazione, chissà. Per questa ragione l’anno scorso ho scritto la mia autobiografia ed ora questo secondo libro sull’opera lirica. E per questo adoro insegnare. Sono una specie di “insegnante itinerante” nel senso che sono disposta a farlo in qualsiasi posto se ne vale la pena, se ci sono allievi davvero con doti che meritano. Ad esempio, un anno fa sono andata in Cina ed è stata un’esperienza bellissima. Sono rimasta sorpresa dalla qualità delle voci dei ragazzi cinesi. Soprattutto voci maschili, tenori, bassi e baritoni. Mi avevano chiamato a Pechino a tenere dei Master Class. Quando sono arrivata, mi sono commossa. In questo grande teatro avevano allestito un palco con una mia enorme gigantografia e gli allevi erano tutti dotati, eleganti, decisi. Davvero straordinario. Poi, l’estate scorsa, una delegazione di allievi cinesi è venuta a studiare una decina di giorni a Verona, a Palazzo Maffei. I ragazzi cinesi sono molto appassionati di lirica e hanno una caparbietà che lascia a bocca aperta. Hanno la grinta che ho sempre avuto anch’io e questo mi piace.>>
Roberto Allegri