Kaname Harada era “l’asso” dell’aviazione giapponese.
Harada, l’ultimo sopravvissuto di Pearl Harbor è morto a 99 anni, martedì scorso a Nagano, a nordovest di Tokyo.
Nel 1933, a soli 17 anni si arruolò volontario nella Marina giapponese.
Non voleva aspettare la coscrizione, l’iscrizione nelle apposite liste per la chiamata al servizio militare.
Il suo obiettivo era diventare pilota, e fu uno dei migliori nel suo campo. Fu protagonista dell’abbattimento di decine di aerei cinesi, britannici e americani, atti che li fecero guadagnare il titolo di “asso”.
Il 7 dicembre 1941 partecipò all’attacco di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii.
Nel 1942 venne a sua volta abbattuto e precipitò col suo caccia nelle Isole Salomon. Dopo questo evento venne rimpatriato in Giappone dove diventò addestratore dei kamikaze incaricati di colpire obiettivi americani in missioni suicida.
Solo dopo la guerra venne a sapere che l’attacco a Pearl Harbor era stato lanciato a tradimento, senza una dichiarazione di guerra, la memoria delle vittime lo aveva spinto a cambiare.
Le sue notti erano dominate da incubi, incubi intrisi del ricordo dei volti di tutti quei ragazzi che aveva abbattuto.
Questi ricordi spinsero Harada a convertirsi al pacifismo militante, facendosi testimone e reduce di una guerra crudele.
La guerra è una bestia orrenda.
Dopo la guerra fece l’agricoltore, convivendo sempre più col rimorso.
Si recò a Pearl Harbor nel 1991, in occasione del cinquantesimo anniversario della battaglia.
«Ricordo ancora le loro facce. Persone che non odiavo, e neppure conoscevo. Così la guerra ti priva dell’umanità, obbligando ad uccidere sconosciuti, per non essere ucciso da loro». – disse una volta, durante un’intervista.
Dopo la fine della guerra si fece largo dentro di lui un’idea che si concretizzò nel 1965, la fondazione di un asilo, per prendersi cura delle nuove vite, in riscatto delle vite che aveva preso seguendo le regole di una guerra ingiusta.
«Perché se vuoi chiedere perdono per le vite che hai tolto, non c’è maniera migliore di farlo che allevare nuove vite»