Kai Samuels-Davis (New York) è un pittore residente a Iverness, California. Dal 2005 al 2015 ha prodotto una serie di quadri i quali, da studi di ritratti, sono diventati frammentazioni di visi da effetto cinematografico.
Kai Samuels-Davis ha frequentato la Woodstock School Of Art all’età di sedici anni, proseguendo il suo percorso di studi con la scuola Art Students League di New York e diplomandosi, nel 2002, alla scuola di Belle Arti prima di trasferirsi in California dove ha conseguito alla laurea in film e video-making alla Art Center of Design nel 2006.
Sebbene non abbia scelto la strada del cinema né abbia mai prodotto opere audiovisive rilevanti, guardando i suoi quadri è inevitabile riconoscere l’influenza che la cinematografia e la produzione video abbiano avuto su di lui.
Sul suo sito è possibile vedere tutta la sua produzione pittorica dal 2005 al 2015. L’evoluzione del suo stile racconta la sua carriera didattica -e molte altre cose più intime e misteriose-, grazie alla quale è possibile comprendere, anche in minima parte, il perché di un certo modus operandi.
I volti ritratti da Kai Samuels-Davis hanno l’intensità tipica di visi che hanno molto da raccontare, fosse anche solo la loro propria vita che, si sa, in genere sembra essere poco interessante da narrare.
Sulle sue pennellate grosse -e grasse- dei colori ad olio c’è l’ostinazione all’utilizzo di pennelli dalla punta piatta che rendono il ritratto vibrante ma rigido, vivido ma volgare, non ben definito. Sono tratti schiaffati sulla tela con colpi quasi cadenzati a uno stesso ritmo, tratto dopo tratto, fino a delineare un volto che però non ha alcuna morbidezza.
Sembrano, a guardarli con attenzione, tanti piccoli frames di un video che scatta e si blocca durante la visione. Un televisore mal funzionante, una connessione lenta, un buffering eterno che non avanza mai; immagini che saltano in una sequenza video di ricordi.
E forse è in questo che coincide il cinema con la pittura: rendere frames i particolari di un viso e questo effetto visivo è possibile solo tramite l’utilizzo di determinati pennelli e con un determinato vigore.
Non importa l’alta risoluzione, non importa il dettaglio. Ci sono sempre grossi occhi lucidi intenti a raccontare qualcosa ma tutto intorno a loro, nel corpo a cui appartengono e nello spazio in cui questo corpo si trova, solo scomposizioni della figura.
Nelle produzioni del 2015 si arriva alla maturazione definitiva dello stile di Kai Samuels-Davis. I ritratti vanno, letteralmente, in mille pezzi. La trasportazione artistica, sulla tela, di milioni di miliardi di pixel che frantumano e comprimono l’immagine.
Ciò che viene immortalato sulla tela, però, è indubbiamente più lento, evocativo e, per questo, poetico.
Riesce quasi piacevole l’idea di vedere un film nonostante si blocchi, si interrompa o si spenga proprio sul più bello.
Buona (non buona) visione.
Gea Di Bella