Kabul piange le 68 bambine e ragazze morte nell’attentato alla scuola di Sayed Al-Shushada

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ISAF Photo by US Air Force Tech Sergeant Brenda Nipper, via flickr.com

Quello appena trascorso è stato un fine settimana di sangue in Afghanistan. Dopo lo scoppio di tre bombe davanti a una scuola lo scorso sabato, Kabul piange le sue figlie cadute.



L’attentato alla scuola di Kabul

Erano le 16:30 dello scorso sabato, l’ora in cui le alunne della scuola di Sayed Al-Shushada lasciano l’istituto per tornare a casa. Il primo boato, provocato dallo scoppio di un’auto bomba, seguito da altre due esplosioni, ha precipitato il quartiere di Dasht-e-Barchi, nella parte Ovest di Kabul, dove vive una comunità Sciita di etnia Hazara, nel terrore.

Squilli di sirene, grida di giovani voci che chiedono aiuto e chiamano i genitori. In mezzo alla polvere, i primi soccorritori si sono trovati davanti una scena straziante. “Sono corso sulla scena e mi sono trovato in mezzo ai corpi, le mani mozzate, le loro teste strappate via e le ossa fracassate”, ha raccontato Mohammad Taqi, un residente, all’agenzia AFP.

Il bilancio delle vittime parla di 68 morti, quasi tutti bambine e ragazze tra gli 11 e i 15 anni, e 165 feriti.

Alcuni genitori, quelli fortunati, domenica hanno potuto celebrare il funerale delle loro figlie. Decine di bare sono state seppellite nel Cimitero dei Martiri, riporta l’agenzia AFP, dove sono sepolte le vittime dell’odio contro gli Hazara. Gli altri ancora cercano: negli ospedali, negli obitori, con la speranza sempre più sottile di poter riabbracciare le loro bambine.

Sulla strada, fuori dai cancelli divelti della scuola, tra le pozze di sangue, gli zaini, i libri, i diari raccontano di una gioventù spezzata, di speranze distrutte.

Chi ha colpito al cuore l’Afghanistan?

I Talebani negano ogni coinvolgimento nell’attentato alla scuola di Kabul, e il loro portavoce Zabihullah Mujahid, punta il dito contro l’ISIS, che già in passato si era macchiato le mani di sangue Hazara.

Secondo il governo afgano invece i responsabili sarebbero proprio i Talebani, accusati dal presidente Ashraf Ghani di aver dimostrato “ancora una volta che non solo non vogliono risolvere la crisi in modo pacifico, ma che anzi intendono complicare la situazione”.

L’atroce carneficina di giovani vite afgane si inserisce nel quadro della violenta escalation che sta vivendo il paese da quando Washington ha avviato il ritiro delle truppe, dichiarando che entro la data simbolica dell’undici settembre tutti i soldati stranieri saranno rimpatriati. Al ritiro delle truppe statunitensi, previsto dagli accordi firmati lo scorso anno, dovrebbero corrispondere i negoziai di pace tra i Talebani e il governo afgano.  Se è vero però che gli attacchi contro le forze straniere sono sensibilmente diminuiti, le forze governative, i giornalisti, gli attivisti e i difensori dei diritti umani continuano a essere bersaglio della violenza degli insorgenti islamici.

La condanna internazionale

Dall’ONU al Papa, la condanna internazionale di questo disumano attentato è stata corale.

La delegazione UE in Afghanistan ha espresso tutta la sua indignazione per questo “spregevole atto terroristico”, dichiarando che si tratta di “un attacco al futuro dell’Afghaistan”. Anche il ministro degli esteri indiano considera le esplosioni un feroce attentato agli sforzi del Paese di crearsi un futuro migliore.

In un twitter UNAMA, la Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, ha dato voce alla sua “profonda repulsione” per questa “atrocità”.

Ross Willson, diplomatico statunitense a Kabul, si è detto profondamente turbato per questo “atto imperdonabile”.

Intanto, nella giornata di ieri, i Talebani hanno annunciato 3 giorni di cessate il fuoco in occasione della Eid al-Fitr, la festività che segna la fine del Ramadan. L’annuncio segue di poche ore la morte di almeno 11 persone in un attacco bomba a un bus nella provincia di Zabul, nel sud del Paese.

Camilla Aldini

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