Julian Assange è tante cose. Un giornalista innanzitutto, vincitore del Premio Pulitzer. Un programmatore informatico. Un attivista, più volte proposto per il Nobel per la Pace. Un super criminale, stando al suo mandato di arresto internazionale
Julian Assange
La sua storia inizia quando fonda Wikileaks ma ha radici profonde. A 16 anni già sa programmare col Commodore64 e affina presto le sue arti di hacking. La sua fissa sono i segreti di Stato e gli insabbiamenti militari. All’età di 20 anni Julian Assange viene arrestato e condannato per essere entrato nei software dell’università australiana e nel sistema informatico del Dipartimento della Difesa Usa. Su di lui pendono 24 capi di accusa per pirateria informatica. Viene rilasciato per buona condotta, paga anche una multa di 2000 dollari.
WikiLeaks e Julian Assange
WikiLeaks è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che si apre sul mondo tramite un sito web. Julian Assange ne è uno dei fondatori e caporedattore. Il sito è un raccoglitore online su cui lavorano giornalisti, scienziati, dissidenti politici e attivisti i quali ricevono documenti da fonti anonime, li verificano e li postano perché siano conosciuti da tutti. La maggior parte di questi documenti sono segreti di Stato, resoconti militari, libri mastri di aziende, diari di guerra e tutta una serie di documenti che rivelano comportamenti poco etici e segreti sporchi a cui i cittadini, lavoratori, persone comuni non hanno accesso. WikiLeaks nasce quindi come una spina nel fianco in favore della trasparenza ma anche della protezione: Julian Assange crea un sistema cifrato ad alto livello che tiene nascosta l’identità di chi ci lavora e anche degli informatori.
Gli scandali
I vasi di Pandora scoperchiati da WikiLeaks sono stati molteplici. Per esempio il trattamento che il governo cinese ha riservato ai tibetani in rivolta. Le purghe di Erdogan contro gli oppositori in Turchia. Le esecuzioni sommarie della polizia in Kenya. Ma il vero obiettivo di Julian Assange sono gli Usa. Del resto, gli Stati Uniti detengono il maggior potere militare, economico e politico al mondo. Nonché la proverbiale arroganza di giustificare ogni atto in nome della democrazia. Così nel 2007, Julian Assange carica su WikiLeaks un manuale ad uso delle guardie carcerarie di Guantanamo sul trattamento dei prigionieri. Pagine di fogli che sarebbero un bel po’ noiosi se non ci fossero i giornalisti, capaci di rimestare nel fango e mettere in luce l’essenziale. Nasce così una collaborazione tra Assange e le maggiori testate internazionali: scandalo dopo scandalo.
Il cablegate
La bomba scoppia nel 2010. Quando Chelsea Manning, ex militare Usa condannata poi a 35 anni di carcere, consegna a Julian Assange circa 700mila cablogrammi diplomatici Usa. Documenti riservati che contengono discorsi tra alti funzionari Usa. Tra loro parlano di tutto. Dalla guerra in Iraq agli interventi in Afghanistan; dai rapporti con l’Arabia Saudita e di questa con Al-Qaeda; fino a commenti di vario genere, spesso non molto gentili, su vari politici. Un vero gossip dallo stampo politico e militare. Come una richiesta di indagini sulla Presidente argentina Cristina Fernández poiché sarebbe “succube del marito”; il Presidente dello Zimbawe, Rober Mugabe, additato come Satana; il dittatore Muʿammar Gheddafi elogiato come “abile politico” perché in carica da 40 anni; Vladimir Putin e il suo fidato Dmitrij Medvedev appellati “Batman e Robin”. C’è persino Silvio Berlusconi: definito “ometto vanitoso e leader incapace che dovrebbe riposarsi di più in quanto stanco per le troppe feste che organizza”. E questi sono solo esempi. Lo scandalo e la reazione diplomatica contro gli Usa fu durissima, così come la rabbia della Casa Bianca contro Julian Assange.
Le accuse
Julian Assange finisce nel mirino di molti governi, non solo di quello Usa. I guai con la legge però li avrà con la Svezia: verrà accusato di stupro da parte di due donne svedesi. Le prove non ci sono, le denunce paiono forzate, è la loro parola contro la sua. Assange afferma che il rapporto sessuale era consenziente ma si consegna alla polizia londinese e la Svezia chiede l’estradizione. All’opinione pubblica la faccenda sembra una mera macchinazione e il timore che dalla Svezia possa essere consegnato agli Usa è tale che Assange scappa all’ambasciata ecuadoriana. Lì resterà rinchiuso per 7 anni, ottenendo asilo politico. Anche qui, in una specie di vita imbottigliata, continua il suo lavoro con Wikileaks: rivela brogli elettorali alle primarie democratiche Usa del 2016. Nel 2018 la polizia londinese ottiene il permesso di entrare in ambasciata e condannerà Julian Assange a 50 settimane di prigione per aver infranto la libertà vigilata. Nel frattempo le accuse di stupro cadono.
L’estradizione
E qui che gli Usa chiedono a Londra l’estradizione di Julian Assange. Assicurano che non ci sarà la pena di morte ma su di lui pendono 17 capi d’accusa per un totale di 175 anni di carcere. La prima richiesta, all’inizio di quest’anno, viene rimbalzata: l’estradizione non può essere concessa perché Assange è a rischio di suicidio. La sua paura di finire in un carcere in Usa è totalizzante e gli annebbia la mente. Eppure, appena due giorni fa, la corte di Londra riapre la pratica e consente l’estradizione. Il suo team di avvocati grida allo scandalo e riferisce di molteplici tentativi Usa di uccidere Assange. Ma a Londra basta che gli Usa promettano un trattamento umano nei confronti di Assange e una riduzione della pena che, secondo i legali Usa, dovrebbe essere di 6 anni a fronte dei 175 previsti.
Un simbolo
La domanda da porsi è un’altra: se uno come Julian Assange sia o meno da considerarsi un criminale. Assange ha sicuramente violato la legge e rivelato segreti di Stato. Resta comunque un pluripremiato per il suo impegno nell’informazione dei fatti e nella trasparenza della comunicazione: due fondamenti della democrazia moderna. La nostra democrazia, tanto sbandierata da tutti, si fonda infatti sulla rappresentanza: devi votare per scegliere i tuoi governanti. Perché il voto sia valido, quindi democratico, devi compiere una scelta tra alternative che devi conoscere: devi sapere come lavorano, che cosa pensano, quali sono i loro trascorsi. Devi inoltre conoscere i fatti per elaborare un pensiero politico che stia alla base del voto. Senza queste informazioni il tuo voto sarà viziato e quindi non più democratico. Potremmo dire che la democrazia non esiste senza la trasparenza e la comunicazione dei fatti e questo è il senso più vero della libertà di stampa, da sempre spina nel fianco del potere. Assange ne è diventato un simbolo da proteggere, secondo Amnesty International. Una libertà di stampa, un tipo di giornalismo, che ci siamo persi per strada: tralasciando troppo spesso l’inchiesta, l’analisi dei fatti, l’indice puntato per diventare blanda voce di Governo. La risposta quindi è sì: Assange sarà un criminale ma di sicuro è democratico e forse l’ultimo dei giornalisti.
Alice Porta