Secondo un report pubblicato su The Intercept, Joe Biden ha approvato la vendita di armi ad almeno tre quinti dei Paesi considerati “autoritari” nel corso del proprio mandato.
Come funziona la vendita di armi e che cosa ha approvato Joe Biden?
Come è ben risaputo, fin dalla fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti sono diventati i primi esportatori di armi nel mondo, assestandosi attorno al 40% delle esportazioni totali ogni anni e mantenendo questo primato fino ad oggi. C’è da domandarsi però dove vengano destinate tutte queste armi: secondo una nuova analisi condotta dal co-fondatore del “Security Policy Reform Institute”, Stephen Semler, Joe Biden ha approvato la vendita di armi alla maggior parte dei Paesi considerati oggi autoritari.
Andando nel dettaglio di questa analisi, la prima distinzione fatta è che tali esportazioni vengono effettuato tramite sovvenzioni o, più direttamente, tramite vendite. Per quanto riguarda quest’ultima categoria, si distinguono ulteriormente le vendite militari estere (“foreign military sales”, o FMS) e le vendite commerciali dirette (“direct commercial sales”, o DCS).
Nel caso delle FMS, il governo statunitense funge da intermediario: esso infatti prima compra la merce da un’azienda che produce armi, e successivamente la rivende al destinatario. Le vendite DCS sono più semplici: si tratta infatti del risultato di un accordo diretto tra l’azienda produttrice statunitense e il governo straniero. Basti sapere che in entrambi i casi, soprattutto nel secondo, le leggi impongono che ci sia bisogno dell’approvazione del governo per concludere l’atto di compravendita.
Questa importante analisi è stata possibile grazie al fatto che i dati sulle vendite 2022 sono stati resi noti recentemente (in particolare, i dati FMS all’inizio di quest’anno, mentre i dati DCS a fine aprile). In generale, risulta che un totale di 142 Paesi hanno acquistato armi dagli Stati Uniti nel 2022, per un totale di 85 miliardi di dollari in ricavi.
Democrazie e autocrazie
Quali di questi Paesi a cui Joe Biden ha approvato la vendita di armi sono considerati autoritari? Esistono diversi studi che classificano i Paesi del mondo come più o meno democratici secondo criteri diversi, e il primo da cui partire è il progetto “Varieties of Democracy” dell’Università di Göteborg in Svezia, che utilizza un sistema di classificazione chiamato “Regimes of the World”.
Il sistema classifica i regimi in quattro categorie: autocrazia chiusa, autocrazia elettorale, democrazia elettorale e democrazia liberale. Per essere classificato come democrazia, un Paese deve avere quindi elezioni multipartitiche e libertà politiche che rendano tali elezioni significative. Secondo questa metodologia, la linea di demarcazione tra democrazie e autocrazie è se i leader di un Paese devono rendere conto ai cittadini attraverso elezioni libere ed eque.
Degli 84 Paesi classificati come autocrazie nel 2022 secondo tale sistema, gli Stati Uniti hanno venduto armi ad almeno 48 di essi: in termini percentuali, ci assestiamo attorno al 57%. C’è una buona probabilità che questi dati siano tarati a ribasso, nella misura in cui i report sulla vendita di armi nel 2022 fanno un ampio uso del termine “vari” come categoria, rendendo di fatto circa 11 miliardi di dollari di ricavi intracciabili. Anche con altri studi il risultato è del tutto simile: usando l’indice annuale “Freedom in the World” di Freedom House, ONG con sede a Washington D.C., degli 85 Paesi classificati come non democratici, gli Stati Uniti hanno venduto armi a 49 di essi, ovvero il 58%.
Joe Biden ha approvato la vendita di armi a paesi autoritari ma parla di difesa della democrazia
Da quando l’attuale presidente Biden è entrato in carica, la retorica della “battaglia tra democrazie e autocrazie”, secondo la quale gli Stati Uniti e le altre democrazie si starebbero impegnando a mantenere la pace globale contro le mire espansionistiche dei Paesi autocratici, ha preso sempre più piede.
Lo stesso Biden ha alimentato più volte questa retorica: come esempi possiamo citare il discorso sullo Stato dell’Unione dello scorso anno:
Nella battaglia tra democrazia e autocrazia, le democrazie si stanno affermando e il mondo sta chiaramente scegliendo il lato della pace e della sicurezza.
oppure anche in un discorso tenuto a Varsavia sempre lo scorso anno:
Ma siamo nuovamente insorti nella grande battaglia per la libertà: una battaglia tra democrazia e autocrazia, tra libertà e repressione, tra un ordine basato sulle regole e uno governato dalla forza bruta.
Continuità tra Biden e Trump
Nonostante queste dichiarazioni, l’approccio dell’amministrazione Biden si è rivelato in linea rispetto a quello del suo predecessore. Risulta noto come Trump infatti adottasse una logica “business first”, in cui l’interesse aziendale e di profitto aveva l’assoluta priorità rispetto a tutto il resto. Nell’era Trump infatti si registrò un’impennata dei ricavi dalla vendita delle armi, il cui picco massimo fu di 192 miliardi di dollari nel 2018.
Solo nel primo anno a partire dal suo insediamento, Biden ha superato quella cifra, registrando 206 miliardi di ricavi in un anno. Una giustificazione può essere ricondotta all’attuale conflitto che si sta svolgendo sul territorio ucraino, e nel quale gli Stati Uniti stanno giocando un ruolo importante tramite il massiccio invio di armi, ma sarebbe impreciso per due motivi:
- La dichiarazione di guerra da parte della Russia è avvenuta 5 mesi dopo gli incassi record, cosa che evidenzia gli interessi statunitensi nei confronti del conflitto ancor prima che la Russia attaccasse
- L’invio di armi è principalmente avvenuto tramite sovvenzioni, non vendite, e quindi nei report presi in considerazione non viene conteggiato
Le nuove cifre rivelano quindi la continuità tra le amministrazioni repubblicane e democratiche. Sebbene Biden abbia segnalato fin dall’inizio che la sua politica sulla vendita delle armi si sarebbe basata principalmente su considerazioni strategiche e legate ai diritti umani, e non solo su interessi economici, la sua smentita è arrivata non molto tempo dopo, quando ha approvato la vendita di armi a regimi come l’Egitto e l’Arabia Saudita.
Considerazioni finali
Per chi ancora avesse qualche dubbio, quella vista finora è una grande dimostrazione di come lo scontro tra democrazie e Paesi autoritari sia fallace. Le ultime considerazioni evidenziano come le decisioni di politica internazionale di Paesi come gli Stati Uniti non siano motivate puramente da posizioni ideologiche, ma anche e soprattutto da una logica di profitto, come ben insegna la deriva neoliberista del nostro sistema capitalista.
D’altronde gli Stati Uniti hanno storicamente fatto ampio uso di retoriche simili per giustificare all’occhio dell’opinione pubblica il proprio operato e i propri interessi. Basti pensare al celebre slogan “esportiamo la democrazia”, utilizzato per la prima volta durante la guerra del Vietnam e rilanciato anche durante le guerre in Afghanistan e Iraq. Grazie allo sforzo giornalistico di allora e ai dati pubblicati da WikiLeaks, oggi sappiamo gli effetti nefasti che ebbero tali conflitti a livello umanitario.
Gli stessi studi di Freedom House e Varieties of Democracy, per quanto giustamente utilizzati per dimostrare che i veri interessi degli Stati Uniti vanno ben oltre l’aspetto ideologico, andrebbero rivisti a partire dai loro criteri. Se infatti ci limitiamo a considerare come democratici sistemi elettorali caratterizzati da multipartitismo, non si prendono in esame altre variabili fondamentali.
Si tratta di un discorso molto caro a coloro che evidenziano il fallimento della democrazia occidentale, ma che sicuramente parte da delle basi solide. Come si può considerare infatti democratico un Paese che, andando contro agli interessi della propria popolazione, alimenta più di tutti la macchina bellicista, partecipando a guerre e vendendo armi ad altri Paesi dalla tendenza guerrafondaia, nel nome dei propri interessi economici?
Comments 1