Joe Biden vacilla sulla transizione energetica. Troppe ambiguità e passi indietro.
Per sapere se Joseph R. Biden, 77 anni, sia l’uomo giusto per gli Stati Uniti, dobbiamo prima vedere se saprà sottrarre il Paese al suo avversario, il presidente Donald Trump. Mancano otto giorni al 3 novembre. La Nazione è fragile, caotica, arrabbiata, preda della pandemia, ostaggio del conflitto razziale e delle sempre più marcate disuguaglianze sociali ed economiche. Vi abbiamo assistito tutti. E ora il prolungarsi della pandemia, fuori controllo anche con la seconda ondata di contagi, rischia solo di aggravare questo quadro.
L’ultimo dibattito presidenziale prima dell’election day si è svolto giovedì scorso, faccia a faccia, con regole più rigide per evitare che si ripetesse il copione sregolato e lontano dai contenuti del primo incontro. Gli sfidanti si sono a malapena guardati e salutati, salendo sul palco. Segno che la tensione tra i due resta altissima.
Joe Biden è il candidato giusto?
Durante il dibattito, più moderato, almeno in apparenza, i due contendenti alla Casa Bianca hanno toccato sei grandi temi. Anche questa volta in chiusura si è parlato di cambiamento climatico. Nessun candidato può più ignorarlo. Sulla lotta alla crisi climatica Donald Trump ha confermato la sua linea di “bravo bugiardo”.
Joe Biden avrebbe potuto vincere su ambiente, clima e transizione energetica. Temi che dividono in due l’America: l’anima liberista da quella liberal-progressista, quest’ultima attenta a valori e diritti finora rimasti marginalizzati o del tutto ignorati dallo Stato. Ahinoi, Joe Biden, il “fragile” Biden, non è stato all’altezza.
Senza il coinvolgimento degli Stati Uniti, la lotta alla crisi climatica è destinata a naufragare. Per questo è importante che alla Casa Bianca sieda un politico che possa cambiare non solo le sorti degli Usa ma anche quelle dell’intera comunità internazionale. Con l’uscita dall’Accordo di Parigi del 2015 ha messo in serio pericolo la strategia di contenimento e mitigazione del cambiamento climatico.
Sulla transizione energetica, Joe Biden sbaglia ancora
L’ex vice presidente Usa è sotto pressione. Con Barack Obama, ha condotto gli Stati Uniti alla conferenza internazionale sul Clima (COP21). E ora l’elettorato americano, oltre a quello già sensibile rispetto ai problemi ambientali, ha bisogno di un programma chiaro, senza ambiguità.
Il New York Times che si è schierato con Joe Biden sin dalle prime ore della lunghissima campagna elettorale ha raccolto le reazioni di alcuni industriali del petrolio e del gas naturale rispetto ad alcune affermazioni del candidato dem durante l’ultimo dibattito elettorale. Non convincono le posizioni di Biden sulla transizione energetica, sebbene vitale contro la crisi climatica.
“C’è preoccupazione non allarme tra le multinazionali americane del petrolio e del gas”. “Ma il programma di Biden sull’abbandono delle fonti fossili resta ambiguo”.
Molti di questi industriali si sono sentiti spiazzati. Biden non ha fatto mistero di volere rimpiazzare «over time», «col tempo», le fonti fossili con le rinnovabili, facendo notare che l’industria del petrolio «inquina in modo significativo». Biden non vuole che gli Stati Uniti rinuncino alla tecnica estrattiva del fracking , fratturazione idraulica.
“Non voglio vietarlo”.
Non è chiaro però come la transizione energetica di Biden possa conciliarsi con questa posizione. In questo modo infatti sarà difficile che si realizzerà un’accelerazione verso le fonti fossili. E promettere che le industrie del petrolio e del gas non riceveranno più incentivi dallo Stato potrebbe non essere sufficiente.
Preoccupati gli industriali del petrolio e del gas
A preoccupare l’industria dell’energia statunitense non è la transizione energetica. Ma quanto sarà rapido il processo di abbandono delle fonti fossili a favore delle rinnovabili. Ci sono Stati, come il Texas, la Pennsylvania o l’Ohio, quest’ultimo è uno di quelli in bilico, dove Biden è già debole.
In Texas, Pennsylvania e Ohio si concentra buona parte degli industriali del petrolio e del gas. Riluttanti a cambiare i loro modelli di business, come sottolinea il New York Times. Sono gli stessi che hanno donato migliaia di dollari a sostegno della campagna elettorale di Donald Trump. Più di quanto non abbiano fatto altri industriali d’accordo sulla necessità di contrastare il cambiamento climatico per Joe Biden.
Assieme all’Arabia Saudita e alla Russia, gli Stati Uniti sono uno dei principali esportatori di petrolio e gas. L’indipendenza energetica per il Paese è stato il frutto di un percorso molto lungo raggiunto solo negli ultimi quindici anni. Tra giugno e settembre 2019, gli Stati Uniti hanno superato i sauditi per l’export di petrolio. Donald Trump ha accelerato sullo shale oil – petrolio di scisto – e sul gas naturale liquefatto anche smantellando in parte la regolamentazione ambientale di Obama. Joe Biden è scivolato su un tema che avrebbe potuto influenzare in positivo la corsa alla Casa Bianca. Ha incespicato, arrancato. Colpa forse degli imprevedibili effetti della pandemia sull’economia americana da qui ai prossimi quattro anni?
Se non ora quando?
Donald Trump ne ha subito approfittato, soffiando sul fuoco dei timori per i posti di lavoro e il destino degli indotti industriali che ruotano attorno al petrolio e al gas naturale. La strategia della paura rischia di vincere su qualsiasi tentativo di affrontare il problema del clima. A dibattito concluso, l’ex vice presidente ha parlato ai giornalisti, correggendo il tiro:
“I combustibili fossili non saranno eliminati prima del 2050”.
Decideranno gli elettori americani.
Chiara Colangelo