Anche le donne stanno dando il loro contributo alla deradicalizzazione dell’Islam. Il libro della giornalista Luciana Capretti, dal titolo “La Jihad delle donne. Il femminismo islamico nel mondo occidentale“, edito da Salerno Editrice, è un viaggio tra Europa e Stati Uniti per conoscere le protagoniste della battaglia contro il radicalismo islamico.
Jihad delle donne: le protagoniste del Terzo Millennio
Il libro da voce alle donne più autorevoli del mondo musulmano moderno. Donne impegnate con orgoglio a sostenere e diffondere il femminismo islamico. Termine apparso per la prima volta durante la quarta Conferenza Mondiale sulle Donne, organizzato dalle Nazioni Unite nel 1995 a Pechino.
Il loro obiettivo è riconquistare l’essenza originaria dell’Islam, nella quale trovano spazio i concetti di giustizia ed eguaglianza fra i sessi. Il loro impegno è votato al rifiuto dell’interpretazione coranica di stampo patriarcale, in atto da ormai 14 secoli. Partendo da un principio molto semplice: un dio giusto non può privilegiare solo la metà maschile dell’umanità.
Nel suo viaggio, Luciana Capretti ha incontrato donne dal grande carisma. Come Amina Wadud, che nel 2005 a New York, difronte ad una comunità di uomini e donne, condusse la ‘salah al-jum’ah’, la preghiera del venerdì. Diventando la prima imamah afroamericana riconosciuta del nostro tempo. Amina è impegnata in una reinterpretazione al femminile del Corano, in modo da svelare l’impianto non patriarcale del testo. Quello fondato sull’uguaglianza e sull’alleanza tra uomini e donne.
Sherin Khankan è invece la prima imamah danese. A Copenhagen ha da poco inaugurato la prima moschea d’Europa, diretta dalle donne per le donne. Rabeya Müller è la prima donna imamah di Germania. Attiva nella città di Colonia, ha fondato un centro studi per promuovere il messaggio coranico senza distinzioni di genere. Con il loro impegno ed esempio, la “jihad delle donne” restituisce ad un termine, purtroppo diventato simbolo di terrore e crudeltà, il suo significato originario di “sfida personale“.
Jihad delle donne: le prime attiviste
L’universo indagato dalla Capretti è fatto di culture differenti. Unite in simbiosi e per questo in grado di dar vita ad una realtà ibrida, capace di sostenere il cambiamento. Ma la lotta delle donne contro l’interpretazione maschilista del messaggio coranico nasce ancora prima. A cavallo tra il 1800 e il 1900 la necessità di affrancare le donne dalla prepotenza degli uomini e dalla conseguente privazione dei diritti provocò la reazione di alcune attiviste. Tra queste vanno ricordate Malak Hifni Nasif (1886-1918), la prima giornalista egiziana. Huda Sha’rawi (1879-1947) che fondò un movimento femminista politico. Mayy Ziyada, protagonista per 20 anni del primo salotto letterario del Cairo, aperto a uomini e donne, prima che venisse rinchiusa in manicomio.
Jihad delle donne: combattere nel nome di Hajar
La voglia di libertà è stata sostenuta anche dalle donne che hanno saputo rivestire ruoli istituzionali e di governo. Si pensi a Benazir Bhutto in Pakistan, a Tansu Ciller in Turchia, a Megawati Sukarnoputri in Indonesia, a Khalida Zia e Shaikh Hasina in Bangladesh. Tra queste donne e quelle incontrate da Luciana Capretti esiste un filo conduttore. Sono le protagoniste di un cambiamento culturale improcrastinabile del mondo musulmano. Il simbolo della loro battaglia è la schiava Hajar. La concubina che diede ad Abramo il primogenito Ismaele. La donna fu abbandonata nel deserto assieme al bambino. Ma questo non le impedì di dimostrare una determinazione senza pari. Riuscì a farcela da sola ed Ismaele divenne il capostipite di un nuovo popolo. Ed è in nome di Hajar, che le donne islamiche del nostro tempo combattono per cambiare il loro popolo.
Michele Lamonaca