Jeffrey Dahmer: il cannibale di Milwaukee

Jeffrey Dahmer www.ultimavoce.it

Jeffrey Dahmer mughsot in August 1982 . (Photo by Bureau of Prisons/Getty Images)

Clara Campi

Di Clara Campi


Milwaukee, 22 luglio 1991, ore 23.30 circa.

Un ragazzo, Tracy Edwards, ferma per strada una volante della polizia, chiedendo loro di aiutarlo a togliersi le manette che ha chiuse intorno ad un braccio.

Perplessi, i poliziotti provano con le loro chiavi ma, non riuscendo ad aprirle, gli propongono di scortarlo a casa della persona che ha provato ad ammanettarlo.

Il proprietario di casa si mostra sorpreso nel vedere i poliziotti alla porta, spiega che si trattava di uno scherzo e chiede di aspettarlo in salotto mentre lui recupera le chiavi dalla camera da letto.

Tuttavia uno degli agenti lo segue e in camera nota subito un cassetto aperto pieno di polaroid raffiguranti uomini nudi… Oltre che cadaveri e scene di smembramenti, tutti ambientati nella casa in cui si trovano.

Avverte subito il partner ed entrambi immobilizzano il padrone di casa per poi chiamare i rinforzi.

Iniziano poi ad ispezionare l’appartamento, un agente apre il frigorifero e trova una scatola di cartone contenente una testa mozzata.

Ne troveranno poco dopo altre tre, oltre a sette teschi, due scheletri interi, due mani mozzate e due peni.

Nel congelatore, due cuori e vari pezzi di carne.

L’uomo viene subito arrestato; il suo nome è Jeffrey Dahmer.

Jeffrey Lionel Dahmer nasce il 21 maggio 1960 a Milwaukee, Wisconsin.

Il maggiore di due fratelli, figlio di una madre depressa e un padre largamente assente per via del lavoro, Jeffrey ama giocare nella natura e ama particolarmente trovare animali morti e aprirli per “sapere cosa c’è dentro”.

All’età di sei anni la famiglia si trasferisce in Ohio, dove Jeffrey continua a giocare con gli animali o, meglio, con i loro cadaveri, e dove inizia prestissimo a bere: all’età di quattordici anni è già un alcolizzato, nonostante riesca a portare avanti un’apparenza di normalità, suonando nella banda della scuola e giocando a tennis con ottimi risultati.

Nel 1977, i genitori si separano ed il padre va via di casa.

Un anno dopo, la madre decide di trasferirsi presso dei parenti in un altro stato portandosi dietro il figlio minore David e lascia Jeffrey, appena diciottenne, a casa da solo.

Approfittando della casa tutta per sé, Jeffrey, che aveva da poco realizzato di essere gay, dà un passaggio ad un giovane autostoppista, chiedendogli di andare per un po’ a casa con lui.

Il ragazzo accetta, ascoltano musica e bevono birra insieme.

Quando il ragazzo decide di andarsene, Jeffrey non è d’accordo e, quando non riesce a trattenerlo, lo colpisce alla testa con un manubrio da cinque chili.

Poi lo strangola e pratica autoerotismo sul suo cadavere.

Alcuni giorni dopo, in piena notte, mette i resti smembrati del ragazzo in sacchi della spazzatura e li porta in discarica. Viene fermato dalla polizia che però non trova nulla di strano in un ragazzo che va in discarica alle tre del mattino, quindi lo lasciano andare senza nemmeno controllare il contenuto dei sacchi.

A questo punto, il padre torna a casa con la sua nuova compagna e convince Jeffrey prima ad iscriversi all’università, che lui non frequenta, e poi ad arruolarsi.

Viene mandato in una base militare in Germania ma dopo due anni viene dimesso per alcolismo, anche se pare avesse ricevuto anche accuse di molestie.

Il padre decide di mandarlo dalla nonna a Milwaukee, con cui Jeffrey aveva un ottimo rapporto.

Si rivela la decisione giusta: Jeffrey trova un lavoro e smette anche di bere per qualche tempo.

Ricomincia però poco dopo, quando inizia a frequentare i locali e le saune gay della città dove, una sera di settembre del 1987, conosce un ragazzo, che si porterà in hotel.

Stando al racconto di Dahmer, il mattino dopo si sveglia senza ricordare nulla della notte precedente ma con un cadavere sul pavimento.

Sostiene di non averlo ucciso intenzionalmente: voleva “solo drogarlo e stuprarlo”. Un vero gentleman.

Compra una grossa valigia, smembra il cadavere e lo porta a casa della nonna, dove polverizza le ossa ma cerca di conservare il teschio, sbagliando però le dosi del composto chimico che utilizza per pulirlo e danneggiandolo irreparabilmente.

Questo omicidio involontario, sostiene, fa scattare qualcosa in lui che gli fa tornare la voglia di uccidere.

Nel 1988 la nonna lo caccia di casa per via della sua ubriachezza e per il viavai di uomini, così Jeffrey affitta un appartamento ma, poco dopo il trasferimento, porta a casa un tredicenne che riesce a scappare e lo denuncia.

Nel 1989 viene condannato ad un anno di prigione per molestie sessuali, che passa facendo alternanza prigione/lavoro, in quanto gli viene concesso di mantenere il suo impiego presso la fabbrica di cioccolato.

Viene rilasciato con due mesi di anticipo, d’altronde si vede che è un bravo ragazzo, e si trasferisce in quello che diventerà il celebre appartamento sulla venticinquesima strada.

Gli omicidi – soprattutto di giovani uomini neri – continuano, ma Dahmer non è soddisfatto: non sopporta la cultura del sesso occasionale e vorrebbe che gli uomini non lo lasciassero mai, ma anche che gli obbedissero in tutto e per tutto.

Inizia a desiderare di poter creare degli zombie che possano essere suoi schiavi.

La sua prossima vittima riceve un trattamento diverso dalle altre: dopo averlo drogato, Jeffrey gli fora il cranio con un trapano e poi gli ignetta dell’acido cloridico nel cervello.

Il ragazzo si risveglia dicendo di avere mal di testa, Dahmer decide che l’esperimento non sta funzionando e lo strangola.

Riprova poi la stessa tecnica su un quattordicenne.

Mentre aspetta che il ragazzo, privo di sensi, si riprenda dall’operazione, Jeffrey si rende conto di aver finito la birra ed esce a comprarne dell’altra.

Rincasando, vede sulla strada il ragazzo, nudo ed in stato confusionale, circondato da tre ragazze nere preoccupate per lui, e cerca di convincerle a farglielo riportare a casa.

Le tre si oppongono, fino all’arrivo della polizia, che decide di credere a Jeffrey, il bianco con la faccia da bravo ragazzo, e che lo accompagna a casa insieme alla sua vittima.

Nessuno ha notato che la ferita che ha sulla fronte è un foro fatto da un trapano.

Jeffrey gli fa un’altra iniezione e il ragazzo muore.

Dahmer commette un totale di 17 omicidi confermati, oltre ad atti di necrofilia e cannibalismo.

I vicini di casa si erano spesso lamentati di odori sgradevoli e rumori di sega elettrica, ma nessuno è mai andato effettivamente a controllare, fino alla fuga di Tracy Edwards.

Viene condannato a 16 ergastoli, per un totale di quasi 1000 anni di prigione.

Il 28 novembre 1994 gli viene assegnato un turno di pulizia con altri due detenuti: Jesse Anderson, uxoricida che aveva incolpato due uomini afroamericani del delitto da lui commesso, e Christopher Scarver, un ventitreenne nero con problemi di schizzofrenia.

La guardia carceraria che avrebbe dovuto sorvegliarli si allontana per una ventina di minuti, al che Scarver estrae – ironia della sorte – un manubrio per pesi dai pantaloni e li massacra entrambi.

Dichiarerà: “E’ stato Dio a dirmi di farlo”.

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