Prima dell’uscita di Automation si era sparsa la voce nella Rete (anche grazie alla diffusione dei primi singoli) che i Jamiroquai avessero deciso di cambiare rotta e di spostarsi verso lidi musicali più evidentemente elettronici.
La stessa title-track, rilasciata come singolo, aveva confermato queste voci, intrisa com’è di contaminazioni e suggestioni fin troppo evidenti con i Daft Punk più vicini a Giorgio Moroder: ma il resto dell’album, poi, dipinge tutt’altro scenario.
C’è tanta Disco Music (Shake It On, Hot Property, Carla, Superfresh, Something About You), com’è ormai tradizione da tanti album a questa parte, qualche richiamo alla loro stagione più fortunata (Vitamin, Summer Girl, We Can Do It, Cloud 9) e un paio di chicche.
Nights Out In The Jungle, che si basa su un groove molto intenso e volutamente caotico, è probabilmente l’unica vera novità che emerge nel lotto delle canzoni e che forse può rappresentare quel punto di partenza verso uno step successivo nella storia del gruppo; Dr. Buzz è un funk costruito egregiamente e caratterizzato da un fondo malinconico e sognante che si sposa molto bene con la vocalità “wonderiana” di Jay Kay.
Squadra che vince non si cambia viene sostenuto spesso, e Jay Kay e soci sembrano trovarsi tutto sommato d’accordo con questa considerazione. Un piccolo spostamento c’è, non si può negarlo, ma sembra più un voler andare incontro a sonorità che in queste anni di assenza dalle scene si sono andate consolidando nei gusti del pubblico, piuttosto che verso una convinta evoluzione di cui probabilmente nessuno dei componenti del gruppo sentiva il bisogno.
Chi si aspettava rivoluzioni copernicane quindi forse resterà deluso dal nuovo album dei Jamiroquai, ma Automation, pur non aggiungendo niente di assolutamente significativo, non sottrae neanche nessuna delle caratteristiche tipiche del sound del gruppo. Un disco da ascoltare, divertente e tanto funky. Come lo definirei alla fine? Sbarazzino. E innocuo.