Il 13 febbraio 2022 il calciatore Jakub Jankto ha fatto coming out sui social, in pochissimo tempo il caso è diventato virale, ma qual è la ragione per cui, nel 2023, rivelare il proprio orientamento sessuale fa ancora notizia?
Jakub Jankto è il calciatore – ancora in attività – più noto ad aver mai fatto coming out. Il 13 febbraio ha pubblicato un video su Instagram in cui, guardando dritto alla telecamera, ha rivelato la sua omosessualità. Il video si conclude con delle parole molto significative: «Voglio vivere la mia vita liberamente. Senza paura. Senza pregiudizi. Senza violenza. Ma con amore. Sono omosessuale e non voglio più nascondermi».
Questo coming-out rappresenta – purtroppo – ancora una notizia degna di nota perché il mondo del calcio professionale maschile si trova in una posizione molto arretrata rispetto alla promozione di una libera espressione dell’identità dei giocatori e del loro orientamento sessuale. Nella storia del calcio (maschile) i coming out sono stati pochissimi e spesso hanno riguardato calciatori non più in attività o appartenenti a squadre minori. C’è un tabù che riguarda queste tematiche che non si può negare perché la storia lo rende manifesto.
Le Saux denuncia le violenze del sistema calcistico
Il bisogno di conformarsi a canoni conformisti e attesi si può spiegare con i trascorsi? Sì, alcuni nomi e storie testimoniano la violenza del mondo calcistico che rende ogni diversità un peso da portare di nascosto. Non sorprende allora che i giocatori abbiano sempre più difficoltà a esprimere con libertà il proprio orientamento sessuale a causa degli ostacoli sociali e professionali contro cui si scontrerebbero.
Risale agli anni ’90 una storia di omofobia che riguarda Graeme Le Saux, un ex terzino del Chelsea che per tutta la sua carriera è stato deriso e beffeggiato perché considerato omosessuale. In realtà Le Saux non è gay, ma è diventato vittima di un sistema conformista e ignorante. Nella sua autobiografia, Left Field: a footballer apart, scrive: «non sono gay, e non lo sono mai stato, ma sono diventato vittima dell’ultimo tabù del calcio inglese». Questa frase sintetizza tutto: rilevante nel caso di Le Saux non è il fatto che fosse considerato – erroneamente – omosessuale, ma che questo lo portasse a essere preso in giro con cori, striscioni omofobi e atti di bullismo. Infatti anche se quello fosse stato davvero il suo orientamento sessuale nessuno di questi atti sarebbe stato giusto e perdonabile.
Le Saux ha provato per tutta la sua carriera a rivendicare la propria identità:
Mi sono domandato se fosse diffamatorio essere chiamato omosessuale dato che non lo ero, ma nel calcio penso che lo sia, perché uno si deve difendere : ammettere di essere gay può voler dire la fine della tua carriera.
La vicenda che lo riguarda evidenzia tutta la tossicità del sistema calcistico e rappresenta senza dubbio una denuncia importante: come può essere ancora lecito che in un contesto continuamente posto sotto i riflettori, come quello sportivo, sia ancora possibile che l’orientamento sessuale ponga fine a delle carriere?
Il caso di Hitzlsperger e di Braga
Hitzlsperger è stato un centrocampista tedesco che ha concluso la sua carriera nel 2013. Un anno dopo aver appeso al chiodo gli scarpini ha fatto outing, sostenendo che fosse impossibile rivelarsi durante la sua carriera perché la sua vita privata avrebbe inficiato troppo il suo percorso calcistico.
Douglas Braga, un giocatore brasiliano che ha rivelato di essere omosessuale, ha messo un punto alla sua carriera nel fiore dei suoi anni, ne aveva 21, perché aveva paura delle conseguenze che la sua omosessualità avrebbe comportato. Alla BBC, raccontando dei pregiudizi della società brasiliana e della società del calcio ne spiega le ragioni: «Era una scelta tra l’essere se stessi e l’essere calciatori. Era semplicemente impossibile essere entrambi».
Justin Fashanau, il primo bersaglio della discriminazione
Affrontando questo spinoso argomento non si può non ricordare Justin Fashanau, il primo calciatore professionista a dichiararsi omosessuale. Bisogna ricordarlo per mostrare a che cosa possono portare la discriminazione e l’ignoranza, perché il giocatore della Nottingham Forest si è suicidato per le violenze subite. Nel 1990 ha dichiarato la sua omosessualità negli Stati Uniti sulle pagine del Sun, con questa azione avrebbe voluto aprire nuove prospettive per l’ambiente calcistico e invece ha incontrato la marginalizzazione. Bollato come «diverso», viene lasciato solo, continua a giocare, ma nessuna squadra sembra più prenderlo davvero in considerazione. Poi arrivano anche le accuse di stupro, le false prove che lo rendono sempre più solo. Così il 3 maggio del 1998 viene trovato impiccato con un biglietto che si conclude così: «spero che il Gesù che amo mi accolga: troverò la pace infine».
Ma allora qual è la notizia?
Questi sono solo alcuni casi storici – di cui non si parla abbastanza – che mettono in luce le criticità di un sistema che affonda le sue radici in un conformismo tossico. Razzismo e omofobia sono alla base di comportamenti ricorrenti nella storia del calcio professionistico e, nel 2023, è inaccettabile.
L’outing di Jakub Jankto non dovrebbe fare notizia perché non è possibile che parlare liberamente della propria sessualità – anche per un giocatore professionista – sia considerato un fatto straordinario. Ma che l’espressione del proprio orientamento sessuale possa rappresentare l’epilogo di una carriera e la nascita di pesanti discriminazioni, questa sì, è una notizia che vale la pena raccontare.
Ludovica Amico