Venerdì 29 settembre, vari media italiani hanno riportato la notizia riguardante la revoca del cosiddetto “Ius soli sportivo” da parte della Federazione Italiana Giuoco Calcio. A porre l’attenzione su questa decisone è stata la denuncia presentata dal Progetto Aurora, una squadra dilettantistica giovanile di Reggio Emilia. La società ha annunciato la sua decisione di ritirarsi dal campionato U14 poiché non poteva tesserare otto dei suoi giovani giocatori, i quali non possedevano la cittadinanza italiana.
L’altra faccia della medaglia
È importante sottolineare che la FIGC non ha preso questa decisione direttamente, ma sta seguendo il decreto legislativo n. 36 del 2021 emanato dal governo. La funzione di tale decreto è quella di abrogare la legge n. 12 del 20 gennaio 2016 e quindi lo Ius soli sportivo. Quest’ultima legge permetteva ai bambini stranieri sotto i 10 anni di età di tesserarsi presso le società sportive seguendo lo stesso procedimento previsto per i bambini italiani.
In seguito all’abrogazione diventa necessario per i ragazzi stranieri minori di 18 anni dover dimostrare di essere iscritti da almeno un anno presso un istituto scolastico italiano.
È vero che tale procedura non complica in modo irreparabile la situazione; tuttavia, ad infastidire è la necessità di porre un ostacolo, per molto insensato. A prescindere, poi, dalla complessità aggiunta dalla burocrazia sorge spontaneo chiedersi come mai si debba aggiungere una differenza anche in un contesto che ha sempre cercato di eliminarle.
La voce della Confederazione italiana lavoratori sullo Ius soli sportivo
Sulla questione Ius oli sportivo si è espressa anche la Cisl Emilia Centrale che ha fortemente criticato questa situazione.
“Dobbiamo ancora una volta assistere all’applicazione di norme che sembrano assurde, e ciò è stato comunicato appena dieci giorni prima dell’inizio del campionato,” ha affermato Domenico Chiatto, segretario generale aggiunto della Cisl Emilia Centrale con delega alle politiche sull’immigrazione. “È ancor più inaccettabile che tutto ciò avvenga in un contesto ludico sportivo, dove i bambini non dovrebbero mai sentirsi discriminati in base all’origine delle loro famiglie. Come Cisl, troviamo questa scelta della FIGC assurda e chiediamo almeno il diritto di ottenere lo ‘ius soli sportivo’ per i minori. In un mondo sempre più multiculturale, questa è una tappa fondamentale nella promozione dell’uguaglianza e dell’integrazione sociale.”
Da una piccola modifica legislativa possono, infatti, scaturire grandi conseguenze non soltanto per i piccoli sportivi ma anche per quelle famiglie che speravano in un riscatto sociale almeno per i loro bambini.
La storia che si ripete
Fa venire i brividi pensare al trattamento che ebbero campioni quali Jesse Owens in epoca nazista, per citare l’esempio più celebre. Al lunghista olimpico non bastò vincere quattro medaglie d’oro per evitare di essere discriminato.
Il paragone è lontano nel tempo e forte nel concetto, il suo scopo è soltanto quello di instillare il dubbio, poiché le domande portano risposte, che a loro volta danno il via al progresso.
In una società come la nostra, volta all’inclusività e al legame con il diverso quanti passi indietro stiamo facendo per arrivare a dover porre barriere a ragazzi ancora minorenni?
Il cambiamento che non si vede, quello graduale e lento, è quello che meglio si radica nella società perché si insinua nella cultura e nelle tradizioni come se ci fosse sempre stato. L’attenzione per i dettagli è dunque ciò che ci rende vigili nei confronti dei mutamenti culturali, anche a quelli che ci sembrano essere meno importanti.
L’importante è partecipare
Assurdo anche che tale provvedimento sia stato imposto in un contesto dilettantistico, in cui l’unica preoccupazione dovrebbe essere quella di assicurare il divertimento dei giovani sportivi.
Uno degli scopi ludici dello sport è sempre stato quello di far scontrare, e quindi incontrare, realtà culturali ed etniche differenti: lo si vede ogni 4 anni durante le olimpiadi, i cui cerchi intrecciati simboleggiano proprio il legame tra i continenti, ma anche in contesti più piccoli e famigliari.
Pensiamo alla scuola primaria e alla potenza che gli sport avevano nell’unire bambini così diversi tra loro.
È scientificamente provato che lo sport abbia un valore formativo nell’educazione in quanto durante lo sport i bambini apprendono valori come l’altruismo e la cooperazione. L’attività sportiva, inoltre, stimola il confronto e fornisce una valvola di sfogo.
Allora come mai nel 2023 ci troviamo davanti alla decisone di escludere, tramite l’ennesima lunga pratica burocratica, un bambino che di leggi non sa nulla? Non trascurabile è anche il pensiero di un genitore, che con ogni probabilità, si troverà costretto a spiegare al proprio figlio cosa lo rende differente dagli altri bambini.
Non considerando, poi, l’importanza che gli sport hanno rivestito nella lotta alla criminalità.
Il privare qualcuno di un’attività di sana socializzazione non può far altro che peggiorare una situazione di esclusione sociale già ampiamente applicata in importanti ambiti della vita sociale. Se quel qualcuno è anche minorenne, il danno non è di portata soltanto sociale ma anche pedagogica e psicologica.