In Italia, la cittadinanza non è uno status facile da ottenere. Moltissimi giovani, figli di migranti, si ritrovano ancora oggi impantanati sui confini di una burocrazia lenta, privi di una cittadinanza per quello stesso Paese in cui abitano, studiano e lavorano. Dinnanzi a certe situazioni, viene da chiedersi: cosa ci rende italiani? E una risposta si tenta di darla discutendo l’ennesima proposta di legge, in questo caso, lo Ius scholae. Ma cosa comporterebbe?
Lo Ius scholae permetterebbe l’acquisizione della cittadinanza italiana ai minori stranieri che hanno completato un ciclo di studi – della durata di cinque anni – presso gli istituti appartenenti al Sistema Nazionale d’Istruzione, nel paese in cui vivono, l’Italia.
Il principio dietro lo Ius scholae è chiaro: attraverso la scuola, un minore ha la concreta possibilità di integrarsi e conoscere la cultura italiana, ancor prima del compimento della maggiore età. Vivere l’ambiente scolastico, i propri compagni e studiare le diverse materie – dalla lingua italiana, alla storia, alla letteratura – rappresenteranno tutte le condizioni necessarie alla nascita di un cittadino italiano, senza distinzione di arrivo. In questo modo, a richiedere la cittadinanza potranno essere:
- I minori stranieri nati in Italia da genitori stranieri;
- I minori stranieri arrivati in Italia prima del compimento dei dodici anni di età.
Inoltre, il minore dovrà aver risieduto in Italia, legalmente e senza interruzioni, per almeno cinque anni. In seguito, completato il ciclo di studi, occorrerà compilare una Dichiarazione di Volontà prima del raggiungimento dei diciotto anni, da parte di un genitore legalmente residente in Italia, o da chiunque eserciti la responsabilità genitoriale. In alternativa, nel caso di mancata dichiarazione, sarà possibile da parte dell’interessato presentare comunque la richiesta di cittadinanza, entro massimo due anni dal compimento della maggiore età.
Ius scholae: obiettivi, opposizioni e rinunce d’attesa
In sostanza, l’obiettivo dello Ius scholae è quello di risolvere la questione della cosiddetta “cittadinanza mancata”. Una condizione comune a molti ragazzi residenti in Italia sin dall’infanzia, ma non ancora legalmente riconosciuti in qualità di cittadini italiani. Secondo i dati pubblicati dal MIUR, durante l’anno scolastico 2020/2021, circa 865.388 studenti risiedenti in Italia – ancora minorenni – erano privi di cittadinanza. Tuttavia, l’iter da seguire per l’approvazione dello Ius scholae è ancora lungo e numerosi sono i pareri discordanti. Igor Iezzi, ad esempio, ha definito lo Ius scholae come una norma liberticida e oscurantista. Per questo, bisognerà attendere. Anche quando l’attesa sta ad indicare opportunità mancate, o soggiorni da rinnovare.
Essere privi di cittadinanza, oltre alla totale impossibilità di partecipazione ai concorsi – anche per chi, paradossalmente, in Italia si è laureato – significa rinunciare a viaggi, ad una carica elettiva e ai diritti al voto, con l’unica eccezione riservata ai cittadini dell’Unione europea residenti in Italia.
Altri modi per essere italiani: Ius sanguinis e Ius soli
Attualmente, le leggi che regolano il diritto alla cittadinanza dipendono dallo Ius sanguinis, il diritto di sangue: viene riconosciuto in quanto italiano, chi nasce da almeno un genitore con cittadinanza italiana, ereditandone, appunto, il sangue e le origini.
Lo Ius soli, invece, prevede il riconoscimento della cittadinanza a chi nasce nel paese, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori. Quasi tutti gli stati del continente americano, come Stati Uniti, Canada e Brasile, prevedono lo Ius soli. Mentre in alcuni paesi europei, tra cui Francia, Regno Unito e Germania, lo Ius soli viene applicato in forme modificate, con l’aggiunta di ulteriori richieste – oltre alla nascita – diverse a seconda del paese coinvolto. In Italia, lo Ius soli è previsto solo in casi eccezionali:
- In caso di nascita sul territorio italiano da genitori ignoti;
- In caso di nascita sul territorio italiano da genitori apolidi;
- In caso di nascita sul territorio italiano da genitori stranieri, che secondo la legge dello Stato di provenienza, non possono trasmettere al figlio la propria cittadinanza.
E gli stranieri, come diventano italiani?
Ad oggi, gli stranieri che arrivano in Italia possono richiedere la cittadinanza per naturalizzazione, solo dopo dieci anni di permanenza continuativa sul suolo italiano. I loro figli, invece, dovranno aspettare il compimento della maggiore età, dimostrando di aver vissuto ininterrottamente in Italia, sin dalla nascita.
L’Italia cambia. E il resto?
L’Italia cambia, si evolve ed i giovani crescono insieme a lei. Giovani affamati di nuove consapevolezze, che andrebbero non solo ascoltate, ma riconosciute. Il rischio che il Paese corre, è quello di avere una classe politica ancorata al passato, non in grado di rappresentare il nuovo volto del paese, che non ha più – e forse non ha mai avuto – un solo volto, un unico colore ed un immutabile accento.
Angela Piccolomo