Con la sua intera opera, lo scrittore ligure ci lascia come testamento un metodo con cui tenere sempre a mente l’importanza di una “visione indiretta” e della leggerezza per la letteratura e la nostra esistenza
Quando Italo Calvino scrive la sua ultima fatica, le Lezioni americane, ha in mente una raccolta di conferenze che riguardano i valori che la letteratura deve tenere presente anche nel nuovo millennio. Ma non solo le Lezioni americane: tutta la sua opera può essere considerata «un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario, un campionario di stili» con cui la letteratura di oggi può orientarsi nelle trasformazioni presenti nel mondo contemporaneo.
Calvino scriveva che la sua avventura nel mondo si legava al suo desiderio di scrittura. Quello che ci si aspetta da uno scrittore è che sappia guardarsi intorno e catturare le immagini di ciò che succede per poi tornare a chinarsi sul tavolo di lavoro e riprendere a scrivere. È per rimettere sempre in attività la sua fabbrica di parole che Calvino parla del bisogno di estrarre dal silenzio ciò che emerge dal “mondo non scritto”.
Italo Calvino e il rapporto tra “mondo scritto” e “mondo non scritto”
In che senso la letteratura cattura le immagini e in che modo possiamo rendere possibile al “mondo non scritto” di «esprimersi attraverso di noi»? Lo scrittore spiega, in Mondo scritto e mondo non scritto, come lui trascorra le ore di veglia in un «mondo speciale», un mondo fatto di righe orizzontali e in cui le parole si susseguono una dopo l’altra. Quando si stacca da quel “mondo speciale” che è, appunto, il “mondo scritto”, ritrova posto nell’altro, nel “mondo non scritto”, dove ripete, ogni volta, il trauma della nascita. Il “mondo scritto” si compone, per Italo Calvino, di immagini che sono il frutto della sua fantasia e della sua immaginazione.
Ma di che immagini parliamo? Come devono essere le immagini di questo “mondo scritto”? Per rispondere, andiamo alla prima delle Lezioni americane, dove Calvino tratta della leggerezza. Rifacendosi al mito, Calvino scrive che l’unico eroe capace di tagliare la testa della Medusa è Perseo, che vola con i suoi sandali alati. Perseo non rivolge il suo sguardo al volto della Gorgone ma alla sua immagine riflessa nello scudo di bronzo. L’eroe diventa, nell’immaginario calviniano, l’emblema stesso della leggerezza, oltre che modello della condotta da seguire quando si scrive. Per tagliare la testa a Medusa, Perseo si sostiene su ciò che vi è di più leggero, i venti e le nuvole. In più, spinge il suo sguardo su una “visione indiretta”, cioè su un’immagine catturata da uno specchio. Leggerezza e “visione indiretta” rappresentano l’allegoria del rapporto dello scrittore con il mondo e una lezione di metodo da seguire mentre si costruisce il proprio “mondo scritto”.
La “visione indiretta” e la leggerezza
Le parole-chiave sono dunque “visione indiretta” e leggerezza, come conferma lo stesso Calvino:
È sempre in un rifiuto della visione diretta che sta la forza di Perseo, ma non in un rifiuto della realtà del mondo di mostri in cui gli è toccato di vivere, una realtà che egli porta con sé, che assume come proprio fardello.
E ancora:
Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. […] devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica.
Bisogna guardare il mondo cambiando lo sguardo e, se possibile, bisogna alleggerirlo. Cambiare l’approccio, seguire sempre nuove logiche di pensiero, è fondamentale per non rimanere pietrificati dentro se stessi. La letteratura, con il suo modo di creare “visioni indirette” attraverso nuove immagini e rappresentazioni di mondi possibili che siano leggeri, deve essere quel medium, quel prodotto umano che sappia far uscire dal silenzio il “mondo non scritto”, che è il mondo fatto di tre dimensioni, percepito con i nostri cinque sensi, popolato da miliardi di nostri simili. Attraverso la creazione di nuove immagini (“visione indiretta”) che devono riflettere una leggerezza e una trasparenza di stile e di intenti, quel silenzio del “mondo non scritto” può acquisire un nuovo significato. Perciò, l’atto di scrittura è una spinta a conoscere e possedere (attraverso il linguaggio) qualcosa che ci sfugge, quel “mondo non scritto”, silenzioso e difficile da interpretare.
La realtà imago-centrica di Italo Calvino
Calvino ricrea la realtà attraverso le immagini prodotte dalla sua immaginazione leggera e pensante. La conoscenza stessa di Calvino sulla realtà è imago-centrica, cioè avviene per immagini, avviene in maniera indiretta attraverso una rappresentazione che è l’immagine della realtà stessa. Immagini e non cose, o forse è meglio dire immagini delle cose, ovvero l’immagine restituita di una “visione indiretta” del mondo. Con il mito di Perseo, l’autore ci dimostra come la pesantezza del mondo può essere sconfitta dal suo contrario, ossia da un’”immagine indiretta” (uno specchio in questo caso) che rappresenta il valore opposto, la leggerezza che lo salva.
Calvino ha cercato, nel suo “mondo scritto”, di alimentare un proprio desiderio di conoscenza del mondo, attraverso un occhio e una mente leggeri che sapessero restituire al lettore, con la creazione di immagini letterarie, il senso di una giusta distanza dalle cose per meglio osservarle e per cercare di comprenderle più profondamente. L’immagine, infatti, essendo una rappresentazione della realtà, costituisce una distanza dalla realtà stessa. Ma in che senso, attraverso la distanza, cioè attraverso le immagini della letteratura (“visioni indirette” e leggere del mondo), è possibile cercare di interpretare la realtà? Se la letteratura crea delle immagini che sono “visioni indirette” del mondo, significa che leggendo ci allontaniamo dal “mondo non scritto” che ci circonda? Che significato ha questa distanza, questo allontanamento? È un modo per metterci al riparo o per partecipare diversamente a una costruzione di senso del mondo?
“Pathos della distanza” o “comfort della distanza”?
Mario Barenghi, noto critico letterario, nella sua Postfazione a Mondo scritto e mondo non scritto di Italo Calvino, critica alcune considerazioni di un altro critico letterario, Alfonso Berardinelli. Quest’ultimo ha riferito di come l’amore di Calvino per la leggerezza e la chiarezza razionale nasca dal suo desiderio inconfessato di voler evitare il dramma. Lo scrittore si sarebbe servito di alcuni espedienti letterari per escludere il dramma dalla rappresentazione letteraria. In altre parole, se Calvino tiene a distanza letteratura e realtà, è per difendersi dalla realtà stessa, e non per comprenderla meglio (come vuole farci credere). In questo senso, il “pathos della distanza” si trasformerebbe in “comfort della distanza”.
Personalmente, dissento da quanto sostenuto da Alfonso Berardinelli. La lezione di Calvino vuole essere, appunto, una lezione di metodo. Una lezione, per usare le parole dello scrittore stesso, di «senso dell’approccio all’esistenza». Calvino considera la distanza come uno strumento di conoscenza e non di sottrazione dalla realtà. Lo scrittore “sottrae di peso” il linguaggio e rende leggera la sua scrittura per meglio parlare del “mondo non scritto”. Sta a noi intendere la sua distanza e leggerezza come una sfida a comprendere il mondo o come una dissuasione dal comprenderlo. Sta a noi decidere se lavorare sul nostro senso critico o assumere la distanza come una scusa per allontanarci dal pensiero del mondo. Il lettore deve rivelarsi co-responsabile e attivo, per far sì che la letteratura si esprima con tutta la sua forza. In definitiva, non possiamo intendere la giusta distanza calviniana dalle cose come un invito a rinunciare a qualsiasi incontro con la realtà, anche quando questa si fa insostenibile e pesante.
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