La posizione dell’Italia nel mercato delle armi gioca un ruolo protagonista. Un nuovo report del Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) rivela che il nostro paese ha registrato la crescita maggiore nell’export di armi nel quinquennio 2019-2023, con un +86% che lo proietta al sesto posto a livello globale.
Un dato che fa scalpore e che accende un acceso dibattito politico sul ruolo dell’Italia nel mercato delle armi e della sua complicità rispetto ai crimini più gravi degli ultimi anni. Da un lato, c’è chi sottolinea i benefici economici di questa crescita, in termini di occupazione e di sviluppo tecnologico. Dall’altro, si levano critiche sulla dubbia moralità di alcuni accordi commerciali e sulla necessità di una maggiore trasparenza nel settore.
In un contesto internazionale che vede tanti scenari di guerre – militari e geopolitiche -, il ruolo dell’Italia nel mercato delle armi assume una rilevanza inedita. Questo ruolo di primato, tutt’altro che lodevole, ha suscitato tante domande sulla questione dell’economia bellica, alle quali però non si è giunti ad una vera e propria risposta concreta.
Quali sono stati, ma sopratutto quali saranno i paesi che acquisteranno e gioveranno maggiormente dell’Italia e del suo primato bellicistico? Quali sono le implicazioni etiche, oltre a quelle economiche e geopolitiche di questo trend? Ma sopratutto, è possibile conciliare la necessità di sicurezza con la promozione della pace?
Boom dell’export italiano di armi: dati record e polemiche
L’Italia è il paese che ha registrato la crescita maggiore nell’export di armi nel quinquennio 2019-2023, con un +86% che la proietta al sesto posto a livello globale. A rivelarlo è un report del Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), che accende i riflettori su un tema controverso e di grande attualità. L’incremento del ruolo dell’Italia nel mercato delle armi e il volume economico degli affari italiani è di gran lunga superiore a quello di qualsiasi altro paese europeo, incluso il secondo classificato, la Francia (+47%). L’Italia si posiziona ora dietro solo a Stati Uniti, Francia, Russia, Cina e Germania.
I rapporti più stretti con i maggiori acquirenti di armi italiane sono quelli con Qatar (27%), Egitto (21%) e Kuwait (12%). Tra i clienti figura anche la Francia, che acquista da Roma il 18% dei suoi sistemi d’arma. L’Italia si conferma inoltre il secondo fornitore della Turchia e il terzo della Norvegia, del Brasile e della Francia.
Il boom dell’export ha fatto lievitare la quota dell’Italia nel mercato mondiale di armi, dal 2,2% al 4,3%. Un dato che supera di gran lunga la crescita della Francia (+47%), seconda esportatrice dietro agli Stati Uniti, sempre primi della classifica sopratutto con i rifornimenti dati a Israele e all’Ucraina.
Mentre svetta sempre di più l’importanza dell’Italia nel mercato delle armi, altri paesi europei come Germania (-14%), Regno Unito (-14%) e Spagna (-3,3%) vedono calare le loro esportazioni. Il report evidenzia come l’Europa occidentale e gli Stati Uniti rappresentino insieme il 72% del totale delle esportazioni di armi nel periodo 2019-2023.
Un dibattito acceso sulla posizione dell’Italia nel mercato delle armi
L’aumento delle esportazioni belliche e in particolare sulla predominanza dell’Italia nel mercato delle armi ha acceso un acceso dibattito politico. Le critiche si concentrano su due fronti: da un lato, la mancanza di trasparenza. La Rete Italiana Pace e Disarmo denuncia come alcuni emendamenti al Senato rendano più opaco il commercio di armi in Italia, inficiando la trasparenza della Relazione annuale al Parlamento. Dall’altro lato invece vige una dubbia moralità. Vengono infatti contestati accordi con paesi come il Qatar, accusato di supportare organizzazioni terroristiche.
Un mondo sempre più militarizzato
Il report del Sipri, oltre al ruolo dell’Italia nel mercato delle armi, offre uno spaccato preoccupante di un mondo sempre più militarizzato. La guerra in Ucraina ha accelerato questa corsa alle armi, con l’Europa che si trova ad affrontare una duplice sfida. In primo luogo, aumentare la propria capacità produttiva di difesa: La presidente della Commissione Ue Ursula Von Der Leyen ha sottolineato la necessità di potenziare l’industria europea della difesa. C’è poi la necessità di gestire la concorrenza interna. La proposta di un “mercato unico della difesa” e l’ipotesi di ricorrere agli Eurobond per finanziare un piano di riarmo da 100 miliardi di euro all’anno fanno tremare i pacifisti.
La proposta del Mercato unico della Difesa, attraverso i soldi e i fondi della Banca economica d’investimento (BEI) non è però nuova: la proposta è arrivata pochi giorni fa, dopo un silenzio di più di dieci anni in cui però ci fu una bocciatura. Ad oggi, i motivi e i vantaggi di questa unione militare sarebbe proprio quella di coordinarsi con il mercato bellico affinché non ci siano animi concorrenziali e malcontenti economici all’interno della comunità europea.
L’ombra e i pericoli del conflitto nucleare
L’ombra di un conflitto nucleare con la Russia, paventata da Macron, non fa che alimentare le tensioni. Sicuramente le parole del Presidente francese non hanno rilassato la situazione attuale, sopratutto nei confronti del Cremlino. Le sue idee sono quelle di rendere l’Europa sempre più forte ed autonoma, per una potenziale protezione in caso di conflitti nucleari.
Il ruolo di primo piano dell’Italia nel mercato delle armi è assai difficoltoso e la sua attuale posizione, insieme alla condizione economica su cui l’industria bellicista si basa, deve essere oggetto di riflessioni sul suo ruolo all’intero dei conflitti in Europa e in Medio Oriente, anche e sopratutto in quanto parte dell’Unione Europea.
Il boom dell’export dell’Italia nel mercato delle armi è un fenomeno complesso che richiede un’analisi approfondita. Le questioni etiche, economiche e geopolitiche sollevate da questo trend sono di vitale importanza e non possono essere ignorate.
E’ fondamentale che il dibattito pubblico su questo tema sia aperto, trasparente e inclusivo. La società civile, i media e le istituzioni devono lavorare insieme per trovare un equilibrio tra la necessità di sicurezza e la promozione della pace.