Di Massimiliano Santarossa
L’Italia è da sempre terra di emigranti, lo è stata alla fine dell’Ottocento e per tutta la prima metà del Novecento, verso il nord Europa e il sud America soprattutto, e lo è di nuovo oggi, da una decina d’anni almeno, sempre verso altri continenti.
Nella piccola palazzina dove abito, per fare un microesempio, su otto ragazzi di venti anni, sei se ne sono già andati, quattro in Australia e due in Germania. I due rimasti stanno chiedendo informazioni per partire prima possibile.
Un esempio più ampio è quello della mia regione, il Friuli Venezia Giulia, che attualmente ha un milione duecentomila abitanti e oltre un milione e mezzo sparsi per il mondo. Sono quindi molti di più i friulani di seconda e terza generazione che si sono costruiti un futuro in America, Australia, Europa continentale, che quelli residenti nelle province di Udine, Gorizia, Pordenone, Trieste.
Percentuali di emigrati che riguardano la maggior parte delle regioni.
Per dare un semplice dato storico, l’Italia dal 1860 al 1930 ha visto partire venti milioni di persone, donne, uomini, vecchi, bambini, esattamente la metà dell’intera popolazione, con al seguito il niente e ad attenderli un ulteriore niente. La più grande emigrazione della storia del pianeta, della storia dell’umanità, è stata quella italiana.
Era l’emigrazione dei nostri nonni, dei bisnonni al massimo, pertanto recentissima, presente nei ricordi delle famiglie, nelle lettere, negli oggetti, nelle fotografie personali che custodiamo dopo decenni. Non c’è famiglia, da nord a sud del paese, che non abbia patito il terribile trauma del distacco dai propri cari, spesso mai più rivisti. Cercate nei vostri cassetti e bauli, troverete certamente un oggetto che porta la Memoria di tutto ciò.
Ormai da mesi e mesi, sui social network, appaiono frasi ignobili, razziste, peggio: naziste.
«Negri di merda che rubano il lavoro»
«Lasciateli crepare in mare»
«Bruciateli tutti»
«Camere a Gas»
«La benzina costa ma vanno eliminati»
«Riaprire i forni»
«Castrateli tutti»
Frasi oscene, a migliaia e migliaia, ogni giorno, scritte da italiani di ogni classe sociale e con ogni istruzione, dall’analfabeta al laureato, dal giovane al vecchio, vomitate senza vergogna alcuna, proprio con la volontà di venire letti: visti. Un’invasione di violenza mostrata, esposta, col preciso intento di dire Io la penso così: «I negri vanno eliminati».
Una violenza che non è solo più verbale. Questa è una violenza già espressa, dichiarata, reiterata, e soprattutto firmata con nomi e cognomi: quindi pronta a scatenarsi. Come i primi italiani che con orgoglio indossavano le camice nere, come i primi tedeschi che con orgoglio indossavano lo stemma «SS». Al principio è sempre “solo” un mettersi in evidenza, poi la Storia insegna cosa accadde. Le parole violente, quando diventano parole comuni, sono sempre il viatico della barbarie.
L’Italia aveva una enorme opportunità, oltre che un compito morale: la possibilità di mostrare la propria grandezza, proprio in virtù della sua storia di nazione di emigranti. Aveva il compito, che era appunto una opportunità, di essere Grande nell’accoglienza, una Grande nazione pronta a salvare, a accettare, a aiutare. Come tutto il mondo è stato cent’anni fa pronto a fare con l’Italia, verso l’immigrazione prima e anche dopo i due tradimenti durante le Guerre mondiali.
Gli italiani sono sempre stati perdonati dal mondo. Ma gli italiani al mondo non vogliono mai perdonare niente. Ecco la nostra infamia dove trae origine.
E questo avviene per un fatto storico, prima che morale, addirittura accade per ragioni antropologiche: l’Italia è da sempre una nazione malata: fascista e fragile.