La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condanna l’Italia a causa della mancata tutela delle donne che subiscono violenza.
Ogni anno in Italia sono oltre i cento i casi di donne maltrattate e uccise dal marito, fidanzato o ex. Benché il fenomeno sia in calo, è innegabile che vi sia una situazione allarmante, per un Paese che si definisce civile.
Proprio a causa dell’apparente incapacità di offrire sostegno e protezione alle donne vittime di violenza, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia. Il problema viene evidenziato a fronte di un caso del 2013 accaduto a Remanzacco (Udine), in cui Andrei Talpis aggredì con un coltello la moglie Elisaveta e uccise il figlio di 19 anni.
Secondo la Corte di Strasburgo, a favorire l’aggressione e l’omicidio è stata l’inerzia che i giudici hanno mostrato. Infatti, la signora Talpis aveva denunciato alle autorità le violenze che subiva regolarmente dal marito.
A seguito dell’ennesima aggressione, nell’estate del 2012, Elisaveta viene ricoverata in ospedale e si rifiuta di tornare a casa; viene quindi accolta presso da un’associazione per le donne vittime di violenza.
Il 5 settembre 2012 denuncia il marito per lesioni corporali, maltrattamenti e minacce, l’inchiesta viene avviata.
Quattro mesi dopo, l’associazione dichiara di non avere i fondi necessari per continuare ad ospitare Elisaveta, la quale è costretta a tornare a casa dal marito.
A novembre del 2013, la donna chiama nuovamente la polizia a causa di una lite con il coniuge. Andrei Talpis, dopo essere stato ricoverato in ospedale a causa dell’eccessivo consumo di alcol, torna a casa e aggredisce la moglie con un coltello. Nel tentativo di proteggere la madre, anche il figlio viene accoltellato e muore.
Un caso simile a tanti altri: uomo violento, percosse e liti frequenti, denunce su denunce, paura, morte.
“Con la sentenza […] la Corte EDU ha condannato l’Italia per la violazione degli articoli 2 (Diritto alla vita), 3 (Divieto di trattamenti disumani e degradanti) e 14 (Divieto di discriminazione) CEDU, in quanto le autorità italiane, omettendo di agire tempestivamente dinanzi alla denuncia della ricorrente, vittima di violenza domestica, e di condurre diligentemente il relativo procedimento penale, hanno determinato una situazione di impunità, che ha favorito la reiterazione delle condotte violente, fino a condurre al tentativo di omicidio della donna e all’omicidio del figlio della stessa“. (Maria Francesca Cucchiara)
Radavoiu Stefania Ema