Il Taser arriva anche in Italia. Le pistole elettriche (Conducted Energy Devices), meglio note con il nome commerciale della principale azienda produttrice (Taser, appunto) entreranno infatti a far parte della dotazione di Polizia e Carabinieri. Inizialmente in via sperimentale in sole sei città: Milano, Padova, Reggio Emilia, Caserta, Brindisi e Catania. A decretarlo una Circolare diramata dalla Direzione Anticrimine il 20 marzo. Al termine di questa prima fase di sperimentazione ce ne sarà un’altra su tutto il territorio nazionale. Un risultato che i sindacati cercavano da diversi anni. Secondo gli agenti, infatti, questo dispositivo consentirebbe di ridurre le colluttazioni con i fermati, offrendo una garanzia in più per l’incolumità degli agenti e dei fermati stessi, costituendo un’alternativa non letale al manganello e alle armi da fuoco.
Di cosa si tratta
I Taser rilasciano una scarica elettrica a bassa intensità e alto voltaggio che ha effetti sul sistema nervoso centrale, causando contrazioni muscolari e incapacitazione temporanea. Il modello selezionato per la sperimentazione è l’”X2 con scarica elettrica a intensità regolare con durata controllata di 5 secondi; sistema di mira con doppio puntatore laser, uno per ogni dardo; possibilità di colpire il bersaglio fino a 7 metri di distanza; colpo di riserva, quindi se si dovesse mancare il bersaglio sarà possibile sparare nuovamente senza dover per forza caricare il Taser manualmente”. Ogni operatore sarà dotato anche di una telecamera a colori ad alta definizione e visione notturna, che si attiverà automaticamente quando verrà tolta la sicura dell’arma, in modo da verificarne l’operato.
Arma non letale?
Già nel 2008 Amnesty International metteva in guardia dai rischi connessi all’uso del Taser. In particolare, in un rapporto del 15 dicembre la ricercatrice Angela Wright denunciava come tali armi si “prestassero intrinsecamente all’abuso”. Il documento prende in esame il periodo dal 2001 al 2008, durante il quale si registrarono 334 decessi direttamente o indirettamente connessi all’uso di Taser negli Stati Uniti e in Canada. Delle 98 morti che fu possibile analizzare, si stabilì che il 90% erano persone disarmate, che nella maggior parte dei casi non costituivano una minaccia. Molte di loro furono colpite più volte e in modo prolungato. In alcune occasioni gli agenti le colpirono perché non avevano eseguito un loro ordine dopo essere state stordite una prima volta. In almeno sei casi l’arma fu usata su persone con problemi di salute in corso in fase acuta.
Uso improprio
Tra le morti più clamorose, si ricorda un medico che in seguito a un incidente automobilistico causato da una crisi epilettica fu colpito ripetutamente sul ciglio della strada poiché, intontito, non riusciva a obbedire agli ordini. Per lo stesso motivo, legato però alla comprensione della lingua, all’aeroporto di Vancouver il polacco Robert Dziekanski ricevette molteplici scariche, che lo uccisero. La lista degli usi impropri è lunga: il Taser è stato usato su studenti, donne incinte e persino su una persona affetta da demenza senile. Nel marzo 2008, in Florida, a essere colpita fu addirittura una bambina di 11 anni con difficoltà di apprendimento che aveva dato un pugno a un agente.
I rischi sarebbero quindi legati non all’arma in sé, bensì al suo uso sconsiderato. Infatti, sebbene le indicazioni prevedano cicli standard di 5 secondi di utilizzo, è spesso usata per un periodo ben maggiore. Inoltre, è frequente l’associazione con altri metodi di contenimento che limitano l’afflusso di sangue al cervello o ostacolano la respirazione. Tutte abitudini che aumentano notevolmente i rischi, soprattutto alla luce del fatto che in molti dipartimenti l’uso è consentito anche per situazioni a bassa pericolosità.
Necessari nuovi studi
La maggior parte degli studi che classificano i Taser come armi a basso rischio sono finanziati dai produttori. Tali studi prendono in considerazione l’uso su persone adulte sane, ma non su soggetti vulnerabili per i quali l’arma potrebbe rivelarsi fatale (persone affette da disturbi cardiaci, soprattutto, ma anche sotto l’effetto di alcol o sostanze psicoattive). Uno studio della Canadian Broadcasting Corporation ha rivelato come il 10% delle pistole rilasciasse più corrente di quella dichiarata. Per questi motivi sono necessari nuovi test e verifiche indipendenti utili a rendere il rischio sempre più basso. Solo dal 2009, per esempio, le indicazioni dei produttori dicono di non mirare al torace, ma solo agli arti e al bacino.
Le preoccupazioni di Amnesty International
Amnesty International, in un comunicato del 22 marzo di quest’anno ha ricordato che dal 2001 l’uso dei Taser ha causato più di 1000 morti in Canada e Stati Uniti. Per questo esprime due preoccupazioni principali:
– il possibile impiego su persone vulnerabili: con disturbi cardiaci, con funzioni momentaneamente compromesse o alterate da alcol o sostanze psicoattive, oppure sotto sforzo (per esempio dopo un inseguimento o una colluttazione);
– la facilità di rilascio di scariche multiple, motivo per cui le Nazioni Unite hanno dichiarato il Taser una potenziale forma di tortura.
Da un lato appare certamente condivisibile la necessità di fornire alle Forze dell’Ordine strumenti idonei a minimizzare il rischio per sé e per i cittadini (anche quelli sospettati di aver commesso un reato). Dall’altro lato è altrettanto prioritaria la necessità di evitare le degenerazioni d’oltreoceano. Per fare questo, occorrono linee guida conformi agli standard internazionali e una formazione adeguata degli operatori affinché facciano un uso corretto delle nuove armi. Il pericolo da scongiurare, infatti, è l’abuso. Cosa sarebbe successo alla Diaz o a Bolzaneto, per esempio, se gli autori degli scempi compiuti avessero potuto contare anche sul Taser?
Michela Alfano