Per la seconda intervista del ciclo: “istruzioni per il voto consapevole” abbiamo avuto il piacere di ospitare Eleonora Evi, europarlamentare nonché co-portavoce nazionale di Europa verde. È stata un’occasione per affrontare diversi temi, a partire dal programma elettorale di di Europa Verde e Sinistra italiana per arrivare poi alle prospettive future del partito, soprattutto in un’ottica post-elettorale. Ovviamente non ci siamo dimenticati di parlare dei temi più attuali.
L’intervista
- Sei al secondo mandato da europarlamentare e ora sei candidata alle prossime elezioni nei collegi plurinominali della Lombardia e dell’Emilia Romagna. Sei fiduciosa in vista del 25 settembre?
Sì, sono fiduciosa perché credo profondamente che, in questo momento, il nostro Paese abbia bisogno di rispondere ad alcune questioni urgenti. Noi le abbiamo individuate nell’emergenza sociale da un lato, e nell’emergenza climatica dall’altro. Io credo che siano tanti i cittadini e le cittadine che ritengono, come noi, che queste siano le problematiche da affrontare immediatamente. Tutti loro potranno vedere nel nostro progetto politico- di Europa Verde, Sinistra Italiana e altre liste civiche, con personalità provenienti dalla società civile, come Aboubakar Soumahoro e Ilaria Cucchi- una risposta concreta a queste emergenze. Credo inoltre che siano tanti i cittadini che non vogliono trovarsi al governo una destra estrema, che rischia di sfregiare la nostra costituzione se raggiungesse i 2/3 dei seggi. Una destra che vede i suoi modelli europei in Paesi come la Polonia o l’Ungheria.
- Proprio per contrastare questo pericolo rappresentato dalla destra, avete optato per quest’alleanza “tecnica” con il PD. Con una legge elettorale diversa, non maggioritaria, vi sareste alleati ugualmente con il PD o avreste scelto altri partner politici?
Questa è una bella domanda. Obiettivamente questa legge elettorale è penosa, scritta male e con delle distorsioni incredibili. Un sistema che costringe alle coalizioni. In una situazione diversa avremmo fatto altre scelte? Non so dirlo con certezza, ma penso di sì. Noi ribadiamo che questa legge elettorale non prevede un programma di coalizione, bensì di lista. Quindi sono diverse le liste, anche della stessa coalizione, che si affronteranno su molti temi e contenuti. Da questo punto di vista noi, in una certa misura, rivendichiamo alcune differenze rispetto ai nostri partner. La necessità di dover stare alle regole del gioco ci costringe verso le coalizioni, per evitare che il Paese finisca in mano ad una destra che non è più un centrodestra, ma una destra estrema. Cambiare la nostra costituzione significa mettere a rischio i nostri diritti. La mia paura è che introducano una revisione della costituzione in senso retrogrado, oscurantista, secondo quei modelli europei tutto patriarcato e sovranismo.
Devo aggiungere che non si tratta di un’alleanza puramente tecnica: condividiamo con il PD la sensibilità verso certi temi, come quelli ambientali. Faccio un esempio: in Parlamento Europeo abbiamo condiviso la battaglia, purtroppo persa, per evitare che il nucleare finisse nella tassonomia delle fonti energetiche “sostenibili”. Ovviamente non significa che lo dobbiamo fare anche in Italia.
- A proposito di risorse energetiche: oltre al nucleare, voi siete contrari anche ai nuovi rigassificatori. Senza di essi, cosa può fare l’Italia per garantirsi la sicurezza energetica nel breve e medio periodo?
Parto da un dato: il consumo di gas in Italia sta calando dal 2005. Ciò grazie a molti interventi sul fronte dell’efficienza energetica e alla spinta delle rinnovabili. Purtroppo, da questo punto di vista andiamo ancora a rilento. Penso che l’energia più sicura, più economica e più sostenibile sia quella che non usiamo. Anche l’Europa ci chiede di risparmiare: in seduta plenaria a Strasburgo approveremo la nuova direttiva sull’efficienza energetica, che introduce obiettivi molto più ambiziosi di prima per ridurre i nostri consumi energetici. Vorrei che questo passasse come un messaggio fondamentale: serve un cambio di mentalità. Meno energia e quella che ci serve deve provenire dalle rinnovabili. Ovviamente non si può fare dall’oggi al domani.
- Certo, ma cosa proponete concretamente nel breve periodo per affrontare la questione energetica e quindi il caro bollette?
Sono sette mesi che denunciamo quello che sta accadendo con la speculazione del prezzo del gas. In sette mesi abbiamo cercato di alzare l’attenzione su questo tema. Purtroppo non siamo stati ascoltati. Dal canto suo, il governo ha fatto molto poco: appena un 25% di tassazione sugli extra profitti dei colossi energetici. Ancora più preoccupante è che queste aziende non stiano ancora pagando: perché un normale cittadino è perseguito se non paga le tasse mentre questi colossi energetici, che guadagnano sulle speculazioni, no?
- E infatti lei, insieme a Fratoianni e Bonelli, ha presentato un esposto alla procura di Roma…
Esattamente, abbiamo presentato un esposto perché vediamo dei possibili profili di frode ed evasione fiscale. Non è ammissibile che si permettano di eludere le tasse e non rispettare le leggi dello Stato. Sottolineo questo perché il tema non è tanto quello delle riserve energetiche- i nostri stoccaggi si stanno riempiendo e abbiamo fatto nuovi contratti con altri fornitori- ma quello delle bollette impazzite a causa della speculazione. Serve aiutare le famiglie e le imprese. In che modo? Riprendendo i 50 miliardi di extra profitti dei colossi energetici, che devono essere restituiti. Serve inoltre una misura che preveda che le famiglie più fragili ricevano un tot di energia gratuita all’anno. Questo è l’unico modo per evitare che la forbice sociale si ampli ulteriormente. Mentre le aziende energetiche si arricchiscono, la maggior parte della popolazione italiana soffre. Anche il tetto al prezzo del gas è una necessità, non solo a livello europeo ma anche a livello nazionale.
- In questo senso, è di oggi la notizia che la Germania abbia aperto a un tetto europeo al prezzo del gas. Ma, se non si riuscisse ad avere una risposta da parte dell’UE in tempi ragionevoli, in che modo pensate di introdurre il tetto nazionale al prezzo del gas? Avete come modello quello iberico? Perché,tra la Spagna e il Portogallo da una parte, e l’Italia dall’altro, ci sono delle differenze che rendono impossibile replicare il progetto…
Noi riteniamo di poter inserire un prezzo amministrato al prezzo del gas, coprendo con gli extra profitti la differenza tra il prezzo calmierato a cui lo acquistano le aziende e quello di mercato.
- Questo è esattamente il modello iberico. La differenza è che la trasmissibilità energetica della penisola iberica con il resto d’Europa è pari al 3%, mentre noi abbiamo molti gasdotti che si collegano con gli altri Paesi del continente. Per questo non possiamo introdurre un tetto al prezzo del gas: le aziende lo comprerebbero ad un prezzo inferiore a quello di mercato e potrebbero esportarlo all’estero, violando così le leggi europee sulla concorrenza…
Vero, ma in questo momento non c’è regola sulla concorrenza che regga rispetto ai problemi che stiamo affrontando, e che tra l’altro riguardano tutti i Paesi europei. Ci sono delle regole e l’Italia le rispetta ma, in alcuni casi di estrema emergenza, possono essere “messe in pausa”, come accaduto con il patto di stabilità. Se in questo momento l’Italia sta esportando il 400% di gas in più rispetto all’anno scorso, è vero che probabilmente è gas che transita in Italia in quanto “terra di mezzo” tra i fornitori energetici e i Paesi del nord Europa acquirenti, ma è una questione di trasparenza dei dati: ciò che emerge è che l’Italia sta esportando più gas di quanto abbia mai fatto.
- Cambiamo argomento. Una vostra proposta sta facendo molto scalpore sui social: l’abolizione dei jet privati. Il 31 dicembre 2021 in Italia risultavano registrati 131 jet: l’impatto sul clima derivante dalla loro abolizione non sarebbe molto limitato? E ancora, non è molto probabile che i proprietari registrino semplicemente i propri jet in altri Paesi?
Certo, in Italia ci sono pochi jet registrati ma, come la maggior parte dei beni di lusso, ciò accade perché la maggior parte è registrata fiscalmente in altri Paesi, spesso in paradisi fiscali. Il numero di velivoli che entrano nel nostro Paese è molto più di 131. Ma, oltre ciò, si tratta di denunciare un uso superfluo e impattante di un mezzo privato, che è appannaggio solo di facoltosi cittadini. Bisognerebbe calcolare la quota pro capite di emissioni.
- Certo, ma non si può introdurre una no fly zone in Italia per i jet provenienti dal resto del mondo…
Certo. Facciamo un piccolo excursus però: inizialmente non avevamo inserito questa proposta nel nostro programma. Dopodiché abbiamo visto che questa era una richiesta dei ragazzi dei Fridays for future e abbiamo deciso di sostenerla. Tra l’altro, in Francia è lo stesso governo che sta parlando di intervenire sulla regolamentazione dei jet privati. Personalmente riconosco che “abolizione” sia un termine forte, ma non trovo utili formule che, per esempio, guardano alle tassazioni sulle emissioni di Co2. Non si tratta di far pagare chi inquina ma di non inquinare. Basti guardare quello che è successo in Italia quest’estate e quello che sta succedendo in Pakistan: una devastazione incredibile. La crisi climatica batte fortissima e a dover dare il maggior contributo sono coloro che possono permetterselo. Aggiungo una cosa: ci hanno accusato di voler far chiudere un settore che in Italia dà molto lavoro, ma non è vero. Noi siamo contrari ai jet privati che utilizzano risorse fossili. Se esistono soluzioni che includono carburanti sostenibili oppure l’idrogeno, ben venga! Se sono più costose, non credo che per i super ricchi sarà un problema…
- Rimaniamo sulla questione climatica. Proponete di introdurre una legge sul clima entro i primi 100 giorni di legislatura, un piano di investimento contro la dispersione idrica e un piano più ambizioso del “fit for 55”, ossia una riduzione delle emissioni del 70% rispetto al 1990, e ciò entro il 2030. Si può veramente fare in tempi così ristretti?
Senza dubbio è una sfida, ma non possiamo permetterci di non puntare in alto. Per farlo dobbiamo ridurre fortemente le emissioni di gas serra in tutti i settori dell’economia. Per esempio l’agricoltura è un settore troppo spesso dimenticato: il 70% del gas serra che l’agricoltura produce proviene dagli allevamenti intensivi. Dovrebbero essere una delle prime cosa da limitare, mentre da noi si continuano ad aprire nuovi allevamenti intensivi o ad ampliare quelli esistenti. Tutte soluzioni che non fanno che aumentare le emissioni. Preciso una cosa però: dobbiamo ancora recepire gli obiettivi europei, dal momento che ancora non ci siamo dotati di una legge sul clima, che in Europa è stata varata e che ci chiede un taglio del 55% di emissioni entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050. L’ Italia non ha ancora tradotto questi obiettivi in norme che siano vincolanti.
Ovviamente la questione energetica è altrettanto fondamentale. Dobbiamo puntare sulle rinnovabili. Tra l’altro, anticipo una cosa: a metà settembre verrà pubblicato un nuovo studio scientifico, commissionato dal gruppo europarlamentare Greens all’università finlandese LUT, su un possibile scenario di fonti energetiche solamente rinnovabili. Il succo di questo studio è uno: si può fare. E aggiungo: si deve fare. Dobbiamo staccarci da un modello che prevede pochi colossi energetici che producono e distribuiscono energia in favore di un modello orizzontale, una vera propria rete, fatta di cittadini e di comunità energetiche. Non solo ci sgancerebbe da questioni geopolitiche relative all’approvvigionamento energetico, ma sarebbe anche un modello democratico.
- Questione migranti: avete pubblicato un comunicato stampa contro il blocco navale proposto da Meloni e i decreti sicurezza di Salvini. Qual è la vostra proposta?
Le proposte del centrodestra esemplificano il disumano. In primis il blocco navale non si può fare: viola qualunque convenzione internazionale. Noi dobbiamo rivedere, a livello europeo, il trattato di Dublino e il meccanismo con cui si gestisce il fenomeno migratorio. Allo stesso tempo dobbiamo rifiutare l’idea di Europa come un continente chiuso. L’Europa deve essere un continente che accoglie, e per fare questo noi vogliamo introdurre delle vie legali d’accesso. Se per entrare in maniera regolare in un Paese c’è bisogno di una residenza, del contratto di lavoro e altri requisiti del genere, nessuna persona che scappa da situazioni di guerra, di miseria o dai cambiamenti climatici può arrivare in maniera legale. Noi abbiamo il dovere morale di accogliere chi sta scappando da queste situazioni attraverso vie regolari d’acceso.
- Come si può regolamentare una questione così complicata, che ha tante sfaccettature e che si gioca in diversi campi?
Verissimo, è complicato. Ma la dimensione del disumano che vediamo oggi, e non mi riferisco solo ai centri di accoglienza sovraffollati ma anche all’intera burocrazia che c’è dietro-che prevede tutta una serie di verifiche sullo stato della persone e che presuppongono l’accoglienza- non può restarci indifferente. Si potrebbero semplificare molti passaggi e rendere più umana l’accoglienza, mentre quello che oggi continuiamo a fare è esternalizzare le nostre frontiere e creare dei centri che non sono di accoglienza ma di permanenza, che spesso dura anni. Dobbiamo cambiare l’approccio con cui viviamo il fenomeno della migrazione, che non è un’invasione come raccontano certi giornali. Rimane il fatto che serve una ripartizione comune europea degli oneri.
- Se il 26 settembre non avrete abbastanza rappresentanti da formare un gruppo parlamentare, andrete in gruppo misto o cercherete alleanze?
Sono sicura che avremo un riscontro elettorale che ci permetterà di formare un nostro gruppo. Sono molto fiduciosa (ride, ndr).
- Ultima domanda: 3 parole con cui definiresti il vostro programma elettorale?
Giustizia climatica e giustizia sociale sono i pilastri del nostro programma. Sono quattro parole ma penso vada bene così.
- Grazie ad Eleonora Evi per il tempo messo a nostra disposizione. Buona giornata.
Grazie a voi!
intervista a cura di Daniele Cristofani