Istruzione italiana sempre peggio. Il dossier dell’OCSE

Proprio ieri una mia amica, prof di Economia Aziendale, mi ha detto che da oggi sarebbe stata disoccupata. Il suo contratto con il Ministero dell’Istruzione per una supplenza ‘fino a docente avente diritto’ in un istituto professionale è scaduto infatti il 24 novembre, dato dopo la quale dovrebbe essere nominato l’insegnante a cui sarà affidato l’incarico annuale, fino a giugno 2016.

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Approfondendo con lei la questione, mi ha spiegato che i suoi alunni non hanno avuto alcun docente di Economia Aziendale prima del suo arrivo (metà ottobre), e che per circa un mese dall’inizio della scuola l’assenza del professore è stata tamponata con uscite anticipate ed entrate alla seconda o terza ora.

Poi è arrivata lei, che con coraggio e massima dedizione ha iniziato il programma previsto, ha interrogato gli alunni, assegnato compite e fatto verifiche, cercando di instaurare un rapporto prima di tutto umano e poi professionale con i suoi ‘ragazzi’. Oggi però è tutto finito: sia per lei, sia per gli studenti, che da domani saranno di nuovo senza docente e in attesa della prossima nomina. Resto stranita.

Poi oggi leggo che l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha pubblicato Education at a Glance 2015, dossier aggiornato sullo stato dell’istruzione italiana in rapporto ai 34 Paesi più industrializzati del mondo. Siete pronti per conoscere i risultati dello studio?

 

Il dossier dell’OCSE

Prima di tutto, nel nostro Paese sono stati registrati alti tassi di laureati di 2° livello (chi conclude il percorso 3 anni più 2), ma pochi laureati di 1° livello (laure triennale) e pochi diplomati su programmi di studio legati a professioni, la cosiddetta alta formazione. Se, quindi, il 20% dei giovani italiani ha una laurea di cinque anni, solo il 42% dei diplomati si iscrive all’università: per questo dato siamo terzultimi dopo il Lussemburgo e il Messico.

Altro tasto dolente è la capacità d’attrattiva dell’università nostrana per gli studenti stranieri. Nel 2013, infatti, meno di 16.000 studenti stranieri (soprattutto greci) degli altri 34 Paesi risultava iscritto a un ateneo italiano, rispetto ai 46.000 studenti stranieri in Francia e ai 68.000 in Germania. Se si considera poi che nel dato numerico di 16.000 sono inclusi anche gli immigrati permanenti, ci si rendo conto che la cifra è davvero esigua, soprattutto considerando che Francia e Germania riportano il numero dei soli studenti che si sono trasferiti dall’estero con lo specifico scopo di studiare.

 

Occupazione e reddito di diplomati e laureati

Nel 2014, in Italia, solo il 17% degli adulti era titolare di una laurea, percentuale simile a quelle del Brasile, del Messico e della Turchia. Il dato davvero scandaloso è che in questi tre Paesi la differenza tra i redditi dei laureati e quelli dei diplomati è più alta rispetto alla media dell’Ocse (160%), mentre in Italia i redditi dei laureati sono superiori solo del 43%.

Anche su fronte dell’occupazione la situazione è piuttosto critica: nel 2014 il 62% dei laureati tra i 25 e i 34 anni aveva un’occupazione in Italia, 5 punti in meno rispetto al tasso di occupazione del 2010. Tale livello è il più basso tra i Paesi dell’Ocse, la cui media è dell’82%. L’Italia e la Repubblica Ceca sono i soli Paesi dove, paradossalmente, il tasso di occupazione è più basso tra i laureati che tra i diplomati (tra i 25 e i 34 anni).

 

I problemi degli studenti italiani

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L’OCSE ha registrato poi anche la qualità dei laureati italiani: lo studio ha rivelato che molti “hanno difficoltà a sintetizzare le informazioni provenienti da testi complessi e lunghi” e che spesso i titoli di studio non coincidono con la reale acquisizione di competenze solide e spendibili sul posto di lavoro. Il legame tra questo aspetto e la difficoltà a trovare un lavoro è piuttosto evidente. Si pensi che Italia, Spagna e Irlanda hanno registrato i più bassi punteggi in termini di lettura e comprensione tra i laureati di 25-34 anni.

Noi italiani, con spagnoli e irlandesi, avremo pure difficoltà di comprensione, ma nel nostro Paese nel 2012 le Istituzioni dell’istruzione terziaria hanno speso lo 0,9% del Pil nazionale, due terzi della spesa media Ocse, mentre Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia e Stati Uniti hanno dedicato all’istruzione universitaria circa il 2% del Prodotto Interno Lordo.

 

I docenti

Il dossier OCSE ha inoltro indagato sull’età media dei docenti italiani e ha confrontato i dati con quelli rilevati negli altri Paesi. Come è facile immaginare, nel nostro Paese insegnanti e professori sono più anziani rispetto a quelli di qualsiasi altro Paese industrializzato: nel 2013 il 57% di tutti gli insegnanti della scuola primaria, il 73% degli insegnanti della scuola secondaria superiore e il 51% dei docenti universitari avevano compiuto o superato 50 anni.

Altro terreno minato è rappresentato dalla retribuzione degli insegnanti: in Italia si guadagna meno rispetto a lavoratori con un livello d’istruzione simile. Inoltre, gli stipendi dei docenti –  con riferimento a periodi antecedenti al varo della Buona Scuola –  “sono principalmente collegati all’anzianità e non valorizzano le prestazioni di eccellenza, come per esempio in Finlandia e in Francia”, si legge nel rapporto OCSE.

Snocciolate queste questioni sul tema dell’istruzione nel nostro Paese, di certo ne restano ancora tante altre da trattare. Il quadro che ne emerge non è certamente confortante.

 

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