Lunedì prossimo, 25 novembre, si celebrerà la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999. Questa giornata rappresenta un’occasione per riflettere sulla violenza di genere e per intensificare gli sforzi verso una vera e propria svolta culturale che possa finalmente abbattere la piaga del femminicidio. Tuttavia, i dati che emergono ogni anno dipingono un quadro allarmante: nonostante i progressi normativi e le campagne di sensibilizzazione, la strada verso una società realmente inclusiva e sicura per le donne sembra essere ancora lunga e impervia.
Numeri drammatici: il femminicidio in Italia
Nel rapporto pubblicato dall’Istat, intitolato “Vittime di omicidio” relativo al 2023, emergono dati devastanti. Le donne rappresentano il 35% delle vittime di omicidio in Italia, un dato che dovrebbe suscitare inquietudine e spingere a una riflessione profonda. Nel 1990, infatti, questa percentuale era appena dell’11%, segno che, nonostante gli sforzi, il fenomeno è cresciuto esponenzialmente. Più preoccupante ancora, tra gli omicidi registrati nel 2023, ben 96 sono stati femminicidi, ovvero omicidi motivati dal solo fatto che la vittima fosse una donna. Ciò significa che oltre l’82% degli omicidi di donne sono stati crimini di genere, con una media di 96 femminicidi su 117 omicidi totali.
Tale realtà suggerisce che il 30% degli omicidi in Italia è legato alla violenza contro le donne. A questo punto, si fa subito evidente il ruolo di una cultura che continua a nutrire stereotipi, disuguaglianze e pregiudizi di genere. Un fenomeno che non conosce confini regionali, anche se alcune zone d’Italia sembrano essere particolarmente colpite.
La geografia del femminicidio in italia
Analizzando la distribuzione geografica, l’Istat segnala che la Sicilia è una delle regioni più drammaticamente segnate da questo fenomeno. Sebbene la violenza omicida contro le donne abbia registrato una lieve diminuzione nell’isola rispetto al periodo 2012-2014, Enna e Catania spiccano come le province con il tasso di femminicidi più alto. La violenza contro le donne non ha una distribuzione uniforme e in alcune aree si concentrano valori particolarmente preoccupanti, come nel caso delle Isole e del Nord-est, dove i tassi di femminicidio sono superiori rispetto ad altre aree del paese.
Tuttavia, nonostante i dati sconcertanti, vi sono anche segnali di un lento, ma significativo cambiamento nelle politiche e nella consapevolezza collettiva. La legge, ad esempio, sta cercando di offrire maggiori strumenti per proteggere le vittime di violenza, eppure non basta. È necessaria una vera e propria rivoluzione culturale che veda coinvolte tutte le istituzioni, le famiglie, le scuole e la società civile.
Le cause profonde e i moventi dei femminicidi
I motivi alla base di tanti omicidi di donne sono molteplici, ma secondo l’Istat il primo movente è rappresentato dalle “liti, futili motivi, rancori personali” (31,6%). Quasi metà di queste liti, circa il 40%, si verificano all’interno di un contesto familiare o affettivo. La violenza spesso scaturisce da una relazione di coppia malata, caratterizzata da un’assenza di rispetto reciproco. I motivi passionali, legati alla gelosia o alla frustrazione, continuano a rappresentare un altro importante fattore scatenante dei femminicidi, incidendo per il 27,4%. Il dato più preoccupante si registra tra le donne di età compresa tra i 35 e i 44 anni, con oltre il 60% dei femminicidi motivato da dinamiche passionali.
Un altro aspetto da sottolineare è la correlazione tra disturbi psichiatrici e la violenza domestica. Nel 14,3% dei casi, i femminicidi sono stati commessi da autori che soffrivano di disturbi mentali, una percentuale che sale al 65% per le donne più anziane, sopra i 55 anni. Questo dato solleva la questione della necessità di un migliore supporto psicologico e di una maggiore attenzione alla salute mentale all’interno delle relazioni intime.
Il coinvolgimento delle vittime e delle istituzioni
I numeri sono drammatici anche quando si analizzano i casi di donne che avevano già denunciato o erano state oggetto di segnalazioni prima dell’omicidio. Secondo l’Osservatorio nazionale di Non una di Meno, aggiornato all’8 novembre 2024, ben dieci donne uccise avevano precedentemente sporto denuncia per violenza o stalking. Questo conferma una volta di più che la violenza di genere si sviluppa in un contesto di trascuratezza istituzionale, dove spesso le segnalazioni non vengono adeguatamente prese in considerazione e le misure preventive non sono sufficientemente efficaci.
Inoltre, il femminicidio non colpisce solo la vittima, ma ha un impatto devastante su tutta la famiglia. Molti dei crimini di genere avvengono davanti agli occhi dei figli minori, con 43 bambini che sono rimasti orfani a causa dell’assassinio della madre. Questo dato evidenzia l’urgenza di affrontare la violenza da una prospettiva globale, che consideri anche il danno collaterale che il femminicidio provoca all’intera comunità.
La prevenzione e la sfida educativa
A poco più di un anno dall’atroce uccisione di Giulia Cecchettin ad opera del suo ex compagno, le parole di suo padre, durante la conferenza di presentazione della Fondazione a lei dedicata, sono diventate un grido di allarme per tutta la società: “La prevenzione è fondamentale nella lotta contro la violenza di genere e passa attraverso percorsi formativi per tutti coloro che entrano in contatto con le donne vittime di violenza”. La società deve diventare più consapevole, più educata e più preparata ad affrontare il problema. È necessario un impegno a livello educativo che coinvolga le scuole, le famiglie, il mondo del lavoro, ma anche le agenzie legislative e sportive, affinché sia possibile costruire una cultura del rispetto e della parità di genere.
Il femminicidio è una tragedia che, purtroppo, non è ancora finita. I dati e le storie raccontano di una società che fatica a liberarsi da un’idea tossica e patriarcale della relazione tra uomini e donne. Il 25 novembre ci ricorda che, purtroppo, questa battaglia culturale è ben lontana dall’essere vinta. Eppure, ogni passo che si fa, ogni vita che si salva grazie a una denuncia, ogni cambiamento che si ottiene attraverso l’educazione può fare la differenza. È il momento di lottare con tutte le forze contro il femminicidio, non solo il 25 novembre, ma ogni giorno dell’anno.